Gentili lettori, vorrei iniziare questa mia avventura come blogger con una riflessione personale approfittando della grande opportunità concessami di trattare un articolo della Costituzione della Repubblica Italiana. In questo vasto oceano di valori e principi, cha a differenza di taluni, considero ancora vivi e moderni, la mia scelta è caduta sull’art. 42. Questa norma è inserita nel titolo terzo inerente ai rapporti economici, con particolare riferimento al secondo comma dove viene sancito che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.
L’espressione “funzione sociale” non è definibile in modo univoco poiché polisensa, ovvero, il suo contenuto varia a seconda dei collegamenti che con tale norma sono effettuati. Tuttavia concordo con chi sostiene che tale locuzione qualifichi l’istituto della proprietà privata non come un diritto soggettivo prorio, bensì come un potere dovere da esercitarsi non nell’interesse del titolare ma nei confronti della società stessa, invece per la locuzione “renderla accessibile a tutti” si ha una duplicità di significato: se intesa come l’impossibilità di precludere a priori la titolarità del diritto in capo a determinati soggetti, si concretizza in un eguaglianza di diritto, nella fattispecie di diritto privato, al fine di permettere il concretarsi della libera iniziativa privata finalizzata al buon funzionamento di un’economia di mercato, mentre se tale locuzione viene intesa come designatrice dei possibili oggetti della prorietà, essa è da intendersi invece più come un precetto rivolto al legislatore affinchè si attuino le condizioni per la ripartizione di un’equa ricchezza, espressione quindi dell’esigenza di creare un’eguaglianza sociale in cui la prorietà privata adempia alla principale funzione di garantire ad ogni individuo la fruizione di un certo quantitativo di beni proporzionato all’utilità sociale.
Disancorandomi da un’analisi prettamente giuridica della questione, vorrei spostare l’art 42 fuori dal piedistallo dei valori costituzionali per portarlo su un piano più pratico, nella fattispecie vorrei collegare la sua portata ad un problema reale, quello inerente all’inutilizzo di beni immobili di proprietà di privati, i quali potrebbero a mio avviso essere utilizzati nell’interesse della collettività. L’art. 42 può in questo ambito giocare un ruolo di primo piano nell’ispirare un intervento pubblico diretto in questo settore da parte della normativa nazionale, ma sopratutto di quella locale, alla luce di quella che appare in molti luoghi, compresa la nostra amata città, un’indebita sperequazione tra ciò che è immobiliarmente inutilizzato e ciò che potrebbe esserlo, a beneficio di tutta la collettività.
Si tratta di inserire nelle gestione della proprietà privata un limite entro il quale deve essere favorito, si l’interesse del proprietario ma oltre il quale l’interesse della collettività predomini su quello del privato.
Un esempio pratico di quanto detto dianzi può essere un’attività volta all’ottimizzazione della gestione dei beni immobili di privati non utilizziati, nella fattispecie un’idea dinamica di azione della funzione pubblica della prorietà privata potrebbe essere l’inserimento, tramite legge, di un limite di durata, in capo al prorietario, in cui possa tenere il suo bene immobile non utilizzato, scaduto il quale egli deve necessariamente metterlo a disposizione per quelle che possono essere le eventuali esigenze della comunità in cui esso si trova, previo rispetto di tutte le guarentigie previamente concordate con le amministrazioni all’uopo preposte. Risulta pleonastico dire che in un siffatto contesto sono quanto mai fondamentali i rapporti tra i prorietari di tali beni immobili e le amministrazioni locali, rappresentative della comunità stessa.
A conlusione di questa mia breve disamina non posso negare che un siffatto riconoscimento attivo della funzione pubblica della proprietà privata , agli occhi di taluni, può risultare scomodo se non lievemente liberticida, tuttavia a mio avviso, potrebbe essere una grande opportunità che da un lato aiuterebbe a fare fronte a situazioni che stanno diventando insostenibili, sia sul piano economico che sociale, dall’altro fornirebbero un impiego più redditizio al proprietario dell’immobile inutilizzato. Possibilità concreta? Oppure mera utopia?