Perdere i treni per il cambiamento sembra essere diventato lo sport più in voga tra le sfere politico-dirigenziali di questo paese nell’ultimo decennio. Spesso mi soffermo nella visione di qualche salotto televisivo o nella lettura dei quotidiani, non potendo fare a meno di sorridere innanzi ai numerosi riferimenti riguardo all’urgente necessità di modificare la legge elettorale, ormai eletta a capo di tutti i mali della nostra stanca Repubblica. Chissà se i bookmakers inglesi hanno mai quotato il cambio dell’attuale legge elettorale italiana, la famosissima 270 del 21 dicembre del 2005 meglio conosciuta come legge Calderoli,dal nome dell’Onorevole leghista allora Ministro per le riforme che la formulò. Sicuramente chi la dava per spacciata si è ritrovato deluso o nel caso di eventuali scommettitori, senza soldi. Infatti il porcellum è ancora efficace e nemmeno a dirlo è riuscito a passare indenne tre tornate elettorali, niente male per una legge definita “una porcata” da colui che l’ha scritta.
Giova alla memoria ricordarne i suoi punti salienti, che lasciarono perplessi oltre che gli addetti ai lavori anche gli stessi politici che l’hanno votata. Ad ogni modo questa legge in sintesi prevede: l’abolizione dei collegi uninominali, ovvero, l’elettore nel precedente sistema misto a base maggioritaria poteva votare su due schede per la Camera dei deputati e una per il Senato, la seconda scheda alla Camera consentiva la scelta di una lista su base proporzionale mentre al Senato, con riferimento sempre alla parte proporzionale, si procedeva al recupero su base regionale dei candidati non eletti all’uninominale; non viene data la possibilità all’elettore di scegliere il prorio canditato, poiché sarà il partito stesso a decidere chi si presenterà nelle liste per la Camera ed il Senato; l’esistenza di un premio di maggioranza sia alla Camera che al Senato, per la camera è prevista l’assegnazione di un numero pari a 340 seggi alla coalizione o partito vincente mentre al Senato viene assegnato a seconda della regione di riferimento, eccezione fatta per il Molise al quale sono assegnati due seggi, in ogni caso la legge tende a garantire alla coalizione o partito vincente almeno il 55% dei seggi in quella regione; l’obbligo da parte del partito o coalizione di indicare espressamente il prorio candidato e il sop programma; devono essere rappresentate alla Camera tutte le coalizioni che superino la soglia del 10% di voti, mentre se si tratta di partito singolo la soglia è fissata al 4%.
A sorprendermi non è il fatto che in questo paese, istabile da sempre sul piano politico, si sia ritornati ad un sistema proporzionale, poiché come ben sappiamo, il metodo proporzionale ha accompagnato per quasi cinquantanni la vita politica italiana, piuttosto il perdurare di una situazione che personelmente definisco insostenibile (data anche la disaffezione alla politica che colpisce un italiano su tre),dovuta dall’evidente incopatibilità tra questa legge e l’attuale consenso popolare. Personalmente credo che in questo preciso momento storico non ci sia posto per una legge proporzionale in questo paese, coloro che si presentano alle urne sono sempre meno, lasciando ad una percentuale molto bassa di cittadini (temerari) il compito di stabilire la guida del paese, e se una volta le elezioni erano viste come uno dei più alti momenti di coscienza sociale, adesso non è più così, e il perdurare di una labile linea di confine tra il centro-sinistra e il centro-destra ne è la dimostrazione.
Continuare ad accettare il “porcellum” in questa situazione d’incertezza significa da un lato affidarsi alla sorte delle urne che hanno dimostrato ampiamente in più occasioni, nonostante l’effervescente ingresso di nuove compagini, che la volontà elettorale è divisa a metà con il risultato che un vero vincitore non esiste ( le ultime elezioni ne sono l’esempio), dall’altro continuare a far si che il risultato della mediazione tra le forze politiche sia l’unico carburante da mettere nel motore della complessa macchina governativa, creando così, a mio avviso, una forma di deresponsabilizzazione delle forze politiche che dovrebbe essere diametralmente opposta dall’ontologia politica. In sostanza una paralisi totale, perchè che dir si voglia, due galli in un pollaio non ci possono stare.
Il governo Letta, figlio legittimo del “porcellum”, è in carica da pochi mesi, ma già su di esso pende il peso una clessidra dalla sconosciuta grandezza, le cose da fare sono tante, la crisi incombe, e la retorica torna ad essere protagonista indiscussa della vita politica. Lasciando da parte la parentesi ingloriosa e a tratti inutile del Governo Monti, dove poteva essere discussa, approvata, modificata la nuova legge elettorale, adesso ci troviamo ad un nuovo punto di partenza, un altro treno che passa e che per il bene comune sarebbe bene non lasciarlo partire senza almeno una proposta di modifica ben avviata , il tempo c’è e se manca è necessario trovarlo, altrimenti ne deriverebbe un’altra prova di incoscienza, che stavolta però potrebbe costare molto cara anche a coloro che pur criticandola hanno fatto in modo di tenerla viva poiché unico strumento di mantenere ben ancorata la loro certezza, che scusate il gioco di parole, è figlia di un’incertezza, la nostra appunto.
In conclusione non vedo alternativa possibile al sistema maggioritario, chi vince prende tutto, non solo i seggi ma anche il coraggio di governare e prendersi delle responsabilità chiare e precise, tuttavia un quesito mi tormenta da un po di tempo a questa parte, ma cos’aveva di così brutto il mattarellum da non poter ritornare a funzionare? Fate finta di non conoscere la risposta.