L’11 giugno 2013 si discute a Montecitorio sulla legge 194, quella che regolamenta l’interruzione di gravidanza. Vengono presentate nove mozioni: saranno approvate quelle di Migliore (Sel), Lenzi (Pd), Lorefice (M5S), Brunetta (Pdl), Tinagli (Scelta civica), Tabacci (Centro democratico) e la risoluzione di Pia Locatelli, socialista del Gruppo Misto. Verranno respinte quelle di Rondini (Lega), Binetti (Scelta civica) e Meloni (Fratelli d’Italia). Tra le mozioni la più significativa era quella di Sel, con cui si chiedeva di limitare negli ospedali il numero di obiettori che si rifiutano di praticare l’aborto (impedendo di fatto l’attuazione della legge in molte realtà): M5S e Pdl hanno votato a favore mentre il Pd, per voce del capogruppo Speranza, ha optato per l’astensione.
Sorprendentemente il testo proposto dal capogruppo di Sel Gennaro Migliore e condiviso anche dal ministro Beatrice Lorenzin (PdL) è passato con una maggioranza stranissima (visto che al momento del voto erano presenti la metà dei deputati): 254 astenuti e 230 voti favorevoli, che hanno annoverato i già citati Sel, M5S, PdL e diversi deputati del Pd che hanno disatteso l’indicazione di voto del capogruppo Speranza. Tra di essi Anna Rossomando e Ivan Scalfarotto.
La decisione di non-scegliere mette ancora una volta in risalto la mancanza di coraggio di un vertice preoccupato di evitare ogni divisione a qualunque costo e la necessità di sciogliere i nodi etici che attanagliano ancora la dirigenza del Partito Democratico: un partito progressista non può in alcun caso titubare di fronte alla necessità di garantire l’attuazione di una legge così duramente e faticosamente conquistata dalle donne (e non solo) italiane degli ultimi 40 anni.
Spiega Anna Rossomando, del Pd: «La mia posizione su questi temi è, da sempre, quella di garantire il diritto delle donne a poter abortire. Non avrei potuto votare – aggiunge la Rossomando – contro un testo che non solo condividevo, ma toccava un punto importante di tutte le mie battaglie, la necessità di tutelare le donne dal veto dei medici obiettori nelle strutture pubbliche. Fra l’altro – osserva la deputata del Pd – Sel aveva accettato di ammorbidire il testo originario che fissava la soglia massima di obiettori al 30%». Aggiunge Scalfarotto: «Non credo di aver violato la disciplina di partito perché qui siamo visibilmente di fronte ad un caso di coscienza, e soprattutto di fronte ad un voto che era considerato plausibile anche dal ministro. Io non sono tiratore. Ma sono molto franco».
Aggiunge Giorgio Airaudo, deputato di Sel: «La mozione era di puro buonsenso, e chiedeva di prevedere che la non-obiezione fosse indispensabile per i nuovi assunti o i trasferiti in altri ospedali, e che i medici di famiglia debbano comunicare ai rispettivi ordini l’eventuale intenzione di esercitare l’obiezione di coscienza. Ho grande rispetto per il Pd – conclude il deputato – ma credo che su questi temi civili esista in parlamento una maggioranza progressista che può esprimersi».