Grazie al suggerimento di un nostro lettore espresso con un commento a un mio precedente articolo, ho deciso di affrontare il tema del ruolo che dovrebbe assumere l’Europa nelle sue relazioni esterne, dove e a chi dovrebbe guardare, e del quanto mai necessario bisogno di avere un’Europa unita e solidale al suo interno, non solo per promuovere il miglioramento delle condizioni delle fasce sociali più deboli, ma anche per poter svolgere un ruolo propulsivo sullo scenario globale.
Nella situazione attuale la nostra Europa si presenta disunita e afflitta da lotte intestine che vedono a confronto da una parte i paesi virtuosi del Nord, in primis la Germania, riluttanti ad impegnarsi a sostegno delle economie del Sud, lungi dall’essere fuori dalle difficoltà e dal risanamento dei bilanci pubblici, e dell’altra l’ascesa di movimenti antieuropeisti, nazionalisti, e talvolta xenofobi. Contemporaneamente, mentre l’Europa è impegnata ad occuparsi dei suoi problemi, la scena mondiale ha visto l’affacciarsi di nuove potenze economiche (i cosiddetti BRICS: Brasile, Russia, India, Cina, Sud Africa), che registrano tassi di crescita importanti. Senza ombra di dubbio l’ascesa di questi paesi sta cambiando gli equilibri di potere mondiali poiché si sta accentuando il declino relativo delle economie ricche dei paesi occidentali, segnate da una popolazione sempre più anziana e dalla minore possibilità di conseguire una crescita quantitativa paragonabile a quella dei paesi emergenti.
In questo nuovo e multipolare scenario internazionale, un’Europa che miri ad aumentare il benessere delle popolazioni costituisce l’unica strada per scongiurare l’ascesa dei movimenti sopracitati e il fracasso del progetto europeo fino a qui realizzato.
Lo sviluppo di Cina e India cambiano gli scenari della povertà, e mostrano che il mondo è uno solo. Ma con grandi squilibri al suo interno. Cosa differenzia, ad esempio, i poveri dell’Africa da quelli dell’India o della Cina? La risposta è la mancanza di prospettive. Il basso, bassissimo livello di sviluppo dei loro paesi, che se confrontato con la crescita straordinaria di altri, fa sì che le aspettative per il futuro siano di un sempre maggiore impoverimento. L’Africa, quindi, rappresenta per l’Europa una grandissima opportunità sia per la vicinanza sia perché è il continente che è rimasto più indietro nel processo di sviluppo, e, proprio per questo possiede le più grandi potenzialità di crescita economica e sociale.
Paul Collier, Direttore del Centro Studi delle Economie Africane dell’Università di Oxford, nel suo libro “L’ultimo miliardo”, per il quale è diventato famoso, sostiene una tesi forte riguardo al “che fare”: “Bisogna guardare a ciò che ha fatto l’America per l’Europa nel Secondo dopoguerra. L’America non solo ha varato il piano Marshall, quindi ha aiutato l’Europa a risollevarsi, ma ha aperto anche i suoi mercati alle merci europee, e ha garantito la sicurezza del Continente. Oggi l’Africa è come l’Europa di allora. Il ruolo che è stato degli Usa deve essere assunto in primo luogo dall’Europa, per due ragioni: perché l’Europa a suo tempo ha beneficiato della politica americana, quindi sa che cosa bisogna fare; perché l’Europa confina con l’Africa, e quindi è nel suo interesse stabilizzare quel Continente e farlo crescere.” L’impegno europeo dovrebbe dunque tradursi nello sviluppo di quattro punti principali: gli aiuti; la liberalizzazione del commercio; la sicurezza; la buona governance.
Un primo problema che sorge però è che l’istanza originaria del Piano Marshall non era tanto quella di devolvere aiuti umanitari, quanto di rappresentare uno strumento per la ricostruzione del sistema politico, economico e finanziario europeo uscito distrutto dalla seconda guerra mondiale. L’impianto politico si reggeva sulla cosiddetta “Export Led Growt Theory”: la scommessa che il processo di sviluppo economico potesse essere trainato da un aumento delle esportazioni. Gli effetti positivi di questi ultimi ricadranno sugli investimenti, sulla produttività e sulla competitività.
Considerata la natura e la logica del Piano Marshall, una sua possibile applicazione al caso Africa richiederebbe un significativo cambiamento delle istituzioni politiche che dovrebbero gestire l’enorme fondo di investimenti. Tutto ciò rivela la presenza di enormi ostacoli per iniziare un eventuale Piano in un’area del mondo dove è oggettivamente difficile nel breve periodo pensare alla nascita di una serie di istituzioni locali ed internazionali in grado di monitorare e di orientare la restituzione dei prestiti affinché i governi locali li spendano per opere infrastrutturali.
Su cosa quindi dovrebbe puntare l’Europa? Uno dei più grandi problemi dell’Africa è quello dell’acqua, la cui mancanza fa si che intere popolazioni siano ridotte al limite della sopravvivenza perché non possono sviluppare l’agricoltura e sono costrette a vivere in condizioni igienico-sanitarie disastrose. Ma per avere acqua serve energia, per questo grazie alle nuove tecnologie solari potrebbe essere lanciato un grande piano per portare energia nei villaggi più poveri del continente africano (solo il 20% della popolazione ha accesso all’elettricità). La disponibilità di energia può permettere di utilizzare l’acqua e quindi può sostenere l’espansione dell’agricoltura e della produzione di generi alimentari.
Quindi, ENERGIA, ACQUA e AGRICOLTURA dovrebbero rappresentare i pilastri su cui l’Europa dovrebbe lanciare un grande “piano Marshall”, costituito non tanto da aiuti finanziari, ma da interventi diretti attraverso la fornitura e l’installazione di nuove tecnologie energetiche e di tecnologie per l’estrazione e la distribuzione di acqua. Si tratta di un investimento di medio-lungo periodo, il cui rimborso potrà essere ottenuto attraverso lo sviluppo che esso riuscirà a mettere in moto nelle economie locali
Oggi sia la Banca Mondiale che la Commissione europea sostengono la necessità di un intervento pubblico a favore dello sviluppo dell’agricoltura dei paesi africani, e l’Europa ha di fronte a sé delle grandissime opportunità per promuovere sviluppo sia al suo interno sia sul piano internazionale, ma ciò può avvenire solo se il Vecchio Continente riuscirà a liberarsi dagli egoismi che lo stanno paralizzando e che ne stanno addirittura mettendo a rischio l’esistenza futura.