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Renzi a Pisa. Una tappa sinistra

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Si presenta con una mezz’ora di ritardo, come da copione, dandomi giusto il tempo di guardarmi intorno. E’ un pubblico variegato, assortito.. forse mal assortito. Io mi rivedo nella categoria dei “giovani curiosi che non si sbilanciano”, ma intorno a me campeggiano anziani imbellettati, un tripudio di cipria ed un’infinità di sciarpine di lino, sempre pronti a far scattare l’applauso ed a guardare male qualsiasi scetticismo. La scenografia è scarna, sicuramente per i tempi stretti di preparazione: un piedistallo colorato e tappezzato dallo slogan, da cui sporgono i microfoni, molto American Style, ai fianchi, due proiettori sono pronti a tenere alta l’attenzione del monologo.

“Wake me Up” di Avicii, alla dodicesima posizione nella Hitlist Italia, annuncia il suo arrivo e la sua entrata trionfale. E’ un Renzi che stringe la mano a chiunque, sorridente, il suo carisma trasuda in ogni passo. Si avvicina al palco e prende posizione, senza cravatta. Dalla giacca, che si sfilerà ben presto, sbuca una camicia bianca che sottolinea il suo bronzeo colorito, non proprio novembrino. La gaussiana di ascolto è all’apice massimo, i sindaci e gli assessori presenti sono in evidente fibrillazione, si guardano, sorridono d’intesa, si sporgono dalle sedie, Renzi è nel suo brodo, in Toscana e ride e scherza col pubblico. Parte bene ed ingrana subito con uno dei suoi cavalli di battaglia: “il PD che vorrei” (che a me ricorda un po’ lo spot del Mulino Bianco), i monitor iniziano a condire l’eloquio ed il probabile futuro segretario del PD, mette a segno una tripletta di spot da cui prende ispirazione. Il primo, della birra irlandese Guinnes, è uno spot molto bello, travolgente e toccante (lo trovate qui ), gli altri due leggermente meno incalzanti e dopo quasi un’ora di parole, l’attenzione cala.

Per allentare il peso del monologo e per combattere le impegnative, sonnambule, ore 22:00 della domenica, c’è anche un tris di omaggi al cinema italiano, utilizzate per introdurre gli argomenti.

Qui si nota subito uno studio di target progressivo di età, si susseguono infatti, il recente “Qualunquemente” di Albanese noto a tutti, l’intermedio e proprio degli anni ’70-‘80 “Berlinguer ti voglio bene”, ed il quasi ormai élitario “Bellissima” di Luchino Visconti.

Ci sono delle punte di enfasi, dove gli applausi fioccano ed il pubblico osanna il fiorentino, ma i colpi sul tavolo per scandire e dar peso alle parole, le abili pause di riflessione, l’espressività in cui Renzi è molto preparato e la prossemica di cui è indiscutibilmente padrone, servono a poco.

Non resta che un audio basso che lo obbliga ad urlare, una posizione statica che non aiuta, un sistema dei video claudicante e mal sincronizzato, le luci e le lacune tecniche lasciano tutto a metà. Epilogo finale per una giornata, a mio avviso, non troppo fortunata, è l’incespico proprio sulla frase di chiusura dell’incontro, sicuramente poca cosa per chiunque ma che, essendo mia materia, non posso fare a meno di notare. E’ un Renzi che convince tanti, tantissimi, soprattutto i già convinti, che resta sul filo dell’ovvietà con punte di giuste riflessioni, le solite. Per quanto fosse stata la mia prima volta di Renzi-Unplugged e, come già detto, sia stata una circostanza sicuramente frettolosa e mal organizzata, non posso dire di essermi sentito coinvolto.

Non mi preoccupa l’8 dicembre, e non credo preoccupi molto il sindaco che piace a destra e a sinistra, bensì il suo impatto nello scenario politico italiano. Quello che ci serve è una svolta vera e Renzi, citando il famosissimo Guerre Stellari, diventa ogni giorno di più la nostra “unica speranza”, quello di cui ho paura è che questo apparente “carro dei vincitori” vada ad omologarsi sterilmente nel nostro odierno sfacelo. Aspettando Godot.

Brano rappresentativo: “Il Leader”- I Decibel, 1978

 

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