Senza voler rubare il lavoro a Wikipedia, partiamo con un piccolo inciso che possa servire a chi di legge elettorale ne sa poco o nulla e, bombardato giorno e notte dai titoli di SkyTG24 o di RaiUno, si sente alquanto confuso ed estraneo allo schizofrenico mondo che lo circonda.
La legge elettorale è semplicemente quel meccanismo che serve a tramutare i voti in seggi. In sostanza, un modo per ottenere una fotografia (tenete a mente questo esempio) della realtà. Esistono, quindi, due tipi di formule. Il proporzionale, che prevede un’attribuzione dei seggi in modo – appunto – proporzionale ai voti ricevuti e il maggioritario, che, invece, attribuisce il seggio – o i seggi – a chi ottiene la maggioranza dei voti. Tale maggioranza potrà essere assoluta (necessario il secondo turno se non si raggiunge la metà più uno dei voti validi) oppure relativa (turno unico, viene eletto chi ottiene più voti). Il primo, il proporzionale, riesce a fare una fotografia a tutto campo, compresi i dettagli. Compresi gli uccellini svolazzanti. Comprese le zanzare. Il secondo, il maggioritario, fa risaltare solo i soggetti in primo piano. Altro discrimine di non poco conto è la dimensione del collegio – detto anche “circoscrizione elettorale” – cioè l’ambito preso in considerazione per la conta dei voti e la ripartizione dei seggi. Più collegi portano a una rappresentazione, e cioè a una fotografia, più dettagliata. Perché, non ce lo scordiamo, i voti sono spesso legati ai territori. Un altro modo per ottenere ancora più dettagli, sarà quello di istituire collegi plurinominali dove, cioè, si eleggono più parlamentari anziché uno solo. L’opposto, saranno i collegi uninominali dove chi arriva primo vince e stop. Quindi, per tirare le somme e portare due esempi antitetici, se vogliamo – riprendendo l’esempio – una fotografia di un paesaggio con messa a fuoco totale si sceglierà una legge proporzionale con magari molti collegi plurinominali. Se, al contrario, si volesse dare risalto ai personaggi in primo piano si opterà per un metodo maggioritario con pochi collegi uninominali, condito magari con una soglia di sbarramento (se non raggiungi quel tot percento rimani fuori). Per garantire la governabilità, infine, è possibile attribuire un premio di maggioranza al primo arrivato. Esiste, poi, il tema delle preferenze, il quale influisce su chi verrà eletto all’interno della lista di nomi. I “pro” sostengono che così si ottiene un rapporto più diretto tra rappresentante e rappresentato e i cittadini non subiscono le cosiddette “liste bloccate”. I “contro” portano il tema del voto di scambio, oggettivamente più semplice per quelle organizzazioni criminali che vogliano influire direttamente nella vita politica. E fin qui ci siamo.
Tutto chiaro, no? Bene, ora viene il difficile.
Ma come, direte voi, cos’altro c’è da capire? Infatti, avete ragione: da capire, niente. C’è da comprendere, invece, perché in questi anni si sia discusso tanto e si sia arrivati al nulla. E qui vi voglio. Non fatevi confondere da chi utilizza nomi stranieri – che sembrano gusti di gelato – invocando chissà quali studi filosofici o ideologie lontane. La realtà è più semplice di come la descrivono. Voi, ad esempio, qualora foste un partito piccolo, la scrivereste una legge elettorale che non vi permetta di rompere le scatole dalla mattina alla sera facendo leva sui vostri due unici rappresentanti, magari dei bravi ragazzi come Razzi o Scilipoti? Oppure, – così non si capisce che a chi scrive stanno più simpatici “i primi piani” – se foste un partito affermato, vi fareste ingabbiare in una legge elettorale che non tenga conto del vostro bel volto da primo piano, ma anzi faccia venire la tosse anche alle pulci? Questo è il punto, niente di più, niente di meno.
Nella Prima Repubblica (cioè fino al referendum del 1993) vigeva il proporzionale e tutti i partiti italiani ottenevano rappresentanti in Parlamento. Potete immaginarvi quanti uccellini svolazzanti e quante zanzare gongolavano delle loro virgole percentuali. Dal 1994 fino al 2005, ha regnato invece il maggioritario – il “Mattarellum” – dove pur di sconfiggere l’avversario ci si imbarcava, come nel film di Mario Monicelli, in armate Brancaleone. Il risultato era sempre il solito: si dipendeva dai pruriti giornalieri dei vari Bertinotti o Mastella di turno. Con la legge firmata dal ministro Calderoli (il famosissimo “Porcellum”) si è tornati al proporzionale, salvo poi vederselo bocciare lo scorso dicembre dalla Corte Costituzionale nelle parti dove prevedeva un mostruoso premio di maggioranza alla Camera e l’assenza di preferenze. E oggi? Intanto – apro una parentesi e la chiudo in men che non si dica – bene ha fatto Renzi a cercare un accordo con un partito che rappresenta più del 20% degli italiani. Mettiamocelo in testa: Berlusconi ha fatto il buono e cattivo tempo per vent’anni, non è ignorandolo che si va avanti. Se l’accordo, poi, Renzi, lo facesse anche con il Movimento 5 Stelle, tanto meglio. Ma sono sicuro che Grillo non permetterà ai suoi di fare “inciuci” (che brutta parola, prima o poi scriverò qualcosa su quanto l’italiano sia stato abbruttito dalla politica quotidiana) con i “nemici”. Ma veniamo alla proposta: proporzionale a doppio turno (eventuale se non si raggiunge una predeterminata soglia) con premio di maggioranza e alte soglie di sbarramento, con collegi plurinominali che assegnano 4 o 5 rappresentanti ciascuno (rispettando, quindi, la sentenza della Corte sul collegamento eletto-elettore). Un ibrido che restituisce, sulla base di quanto detto in precedenza, una fotografia che mette a fuoco solo i soggetti in primo piano. Rispettando anche i dettagli, certo, ma evitando le cosiddette “liste civetta” (secondo alcuni anche troppo). In pratica, in base alle simulazioni che si trovano qui (http://www.repubblica.it/politica/2014/01/20/news/simulazione_elezioni_italicum-76488164/?ref=HREC1-1) ad entrare in Parlamento sarebbero solo i primi tre o quattro partiti. Sicuramente si può fare di meglio. Ma almeno è già qualcosa. Ne guadagnerebbe infatti la chiarezza istituzionale e anche la stabilità, considerando il premio di maggioranza concesso. E infine, dulcis in fundo, tutto quanto detto finora accompagnato da una riforma costituzionale che permetta il superamento del bicameralismo perfetto (la fiducia non la si ottiene più in entrambe le Camere ma in una sola), la riduzione dei parlamentari e quindi maggiore efficacia e risparmio per le casse pubbliche (sul risparmio sono d’accordo – anche se resta per me uno specchietto per le allodole –, sulla riduzione della rappresentanza un po’ meno) e una revisione del Titolo V della Costituzione in senso restrittivo, cioè ridiscutere alcune competenze delegate oggi alle Regioni anziché allo Stato.
Insomma, per concludere – visto che mi sono dilungato anche troppo e voi siete stati pazienti fino in fondo – pare che Renzi, in appena un mese di segreteria, stia riuscendo nell’arduo compito che i “saggi” della politica italiana stanno portando avanti (invano) da anni. Legge elettorale con effetto selettivo e maggiore chiarezza di compiti e funzioni tra le varie istituzioni del Paese. Con tanti cari saluti alla bozza Quagliariello-Violante*.
Post scriptum. Notizia dell’ultima ora: tutti i partiti più piccoli (Lega, Fratelli d’Italia, etc.) stanno protestando. Chiedono deroghe alle soglie di sbarramento, altrimenti minacciano di non votare la legge. Che v’avevo detto? 🙂
*se non sapete cos’è, non state ad andarla a cercare su Google. Meglio così.