Scrivere qualcosa di sensato – o quantomeno provarci – su quello che sta avvenendo in queste ultime ore nello scenario politico nazionale è estremamente difficile. La situazione non è chiara e i continui rilanci di agenzia non aiutano. C’è il rischio che durante la lettura di questo articolo le cose cambino e quello che ho scritto più avanti perda in pochi minuti completamente senso. Ma proviamoci. In estrema sintesi, pare che Letta sia in seria difficoltà e pare probabile, di conseguenza, un’ imminente svolta politica a Palazzo Chigi. Ora: nessuno nega che il buon Enrico si sia seduto lo scorso Aprile su di una polveriera e i mesi passati non sono stati certo tutti rose e fiori. Ma se mi chiedo cosa sia successo di così grave negli ultimi giorni – quale sia stata la scintilla, per rimanere in metafora – tale da far precipitare la situazione, ho dei seri problemi a rispondere. Sarà che sono mesi che i media parlano del nulla. Oppure, sarà che io mi sono distratto, preso da altre cose. Ma, in tutta onestà, negli ultimi tempi non ho visto novità importanti tali da far presagire grandi cambiamenti. O, meglio, il motivo c’è, ma è arcinoto: questo Governo non sta praticamente facendo niente – o quasi – rispetto a quanto prefissato, ma scoprirlo oggi è come scoprire l’acqua calda.
Le ultime notizie certe sono le seguenti: Renzi ha convocato la Direzione del Partito Democratico, cioè l’organismo che dovrebbe tracciare la linea da seguire in questi momenti delicati, per domani (Giovedì 13, n.d.r.); Letta si dice fiducioso che il suo “nuovo” – ennesimo, aggiungo io – programma di mandato possa piacere e riscuotere fiducia tra gli attuali sostenitori del Governo; Napolitano, come fosse in una partita a carte, “sta” e aspetta la mossa del PD.
Cerchiamo quindi di capire cosa potrebbe succedere nei prossimi giorni. Io ipotizzo tre scenari, più o meno credibili.
1) Tutto rimane com’è: Letta, preso atto della necessità di una svolta che emergerà dalla Direzione del suo partito (che, nonostante grossi tensioni interne, gli conferma la fiducia), rilancia l’azione del suo Governo con un nuovo patto di programma e, probabilmente, con qualche innesto di renziani ai posti di comando (ipotesi “rimpasto ministeriale”);
2) Letta si dimette: preso atto del “consiglio” da parte del suo partito a farsi da parte, l’attuale Presidente del Consiglio sale al Colle e formalizza le sue dimissioni. Napolitano inizia il giro delle Consultazioni e, presumibilmente, attribuisce l’incarico per la formazione del Governo a Matteo Renzi che, stando a quanto si legge in queste ore, sembra poter godere di una più ampia maggioranza al Senato, in quanto anche SEL, pur con qualche diatriba interna, sarebbe disponibile ad appoggiare un “Renzi I” (ipotesi “staffetta”);
3) La situazione precipita: la direzione PD si scinde tra possibilisti e non possibilisti e, per non scontentare nessuno, si chiedono nuove elezioni. Letta presenta le dimissioni e Napolitano, vagliata l’impossibilità di addivenire ad una nuova maggioranza stabile, proroga l’attività di questo Governo – o di un altro di natura più tecnica – fino al prossimo autunno, quando si riandrebbe al voto (ipotesi “governo balneare”).
Partiamo dalle percentuali: ad oggi, se dovessi scommettere un caffè sugli esiti della vicenda, mi sento di poter escludere lo scenario n.3, al quale attribuisco un 5% scarso di possibilità di diventare realtà. Tra i restanti, vedo più favorito il primo scenario rispetto al secondo (rispettivamente 60% a 35%), ma questo essenzialmente perché non credo che Napolitano si sia sfilato dalla vicenda. Non lo ha fatto negli ultimi tre anni, non vedo perché dovrebbe farlo adesso. E Napolitano sta con Letta, mi pare chiaro. Quindi, se Renzi insistesse nel portare Letta alle dimissioni, Napolitano potrebbe spingere Letta ad una parlamentarizzazione della crisi, cioè ad un voto di fiducia in aula. E io vedo molto improbabile che un partito voti la sfiducia al proprio Presidente del Consiglio.
Se poi devo aggiungere quello che spererei avvenisse, io non vorrei che Renzi rischiasse il suo potenziale in un Governo che, sì, potrebbe avere qualche nome nuovo, ma difficilmente avrebbe una forza propulsiva diversa, in quanto sempre e comunque dipendente dai mutevoli umori degli eterodiretti-berlusconiani Casini e Alfano. Insomma, Renzi rischierebbe grosso e, sinceramente, secondo me il gioco non varrebbe la candela. Tanto vale, allora, andare al più presto a nuove elezioni, come propone da tempo il caro Pippo Civati. Qualora si verificasse quello che ritengo più probabile (scenario n.1), prepariamoci: nei prossimi mesi assisteremo a ripetute verifiche o intese di programma, volte più a concentrare l’attenzione dell’opinione pubblica sul Governo (distogliendola quindi dall’opposizione, il M5S) che, piuttosto, a solidificare le basi di un esecutivo che ha e avrà sempre fondamenta tremolanti. Il traguardo sarà l’autunno, con probabili elezioni in primavera 2015 e Letta nuovo inquilino del Quirinale o in veste di commissario europeo.
Chiudo con una nota di colore (anzi, di grigiore). Ai più attenti non sarà sfuggito che ho seminato qua e là qualche termine che viene da lontano: Rimpasto ministeriale, Governo balneare, Renzi I, ecc. Oppure, che la parte da leone in tutta la vicenda la stiano facendo il PD e tutte le sue correnti. Un ritorno sulla scena, quindi, della centralità degli equilibri interni dei vari partiti, soprattutto se grandi. Bene, sarà una mia impressione e spero di sbagliarmi, ma ho il presentimento che a noi giovani si stia presentando un “Ritorno al futuro” – più precisamente ad un passato mai vissuto direttamente – e, cioè, alle dinamiche della cosiddetta Prima Repubblica. Prima del 1993, i governi duravano estremamente poco e le composizioni e ri-composizioni parlamentari, dovute a dinamiche interne ai partiti, ne determinavano vita, morte e miracoli. Gli elettori votavano ogni cinque anni e, in quell’arco di tempo, si verificavano le più improbabili alleanze, le quali sostenevano governi che duravano in media meno di un anno ciascuno.
É un’ipotesi catastrofica, lo so. Ma per scongiurarla credo, a questo punto, vi sia solo un modo: ritornare al voto nel più breve tempo possibile e possibilmente con una legge elettorale di tipo maggioritario. Tutto il resto è noia.