Hipster è oramai un termine sulla bocca di chiunque durante gli ultimi anni, in realtà risale agli anni 40. Nato negli Stati Uniti il termine descriveva gli appassionati di bebop e hot jazz, che desideravano distinguersi dai fan dello swing, che alla fine degli anni quaranta cominciava a essere considerato fuori moda ed era stato svilito da musicisti commerciali. Solitamente gli Hipster erano ragazzi bianchi della classe media, che emulavano lo stile di vita dei jazzisti afroamericani.
Nel secondo dopoguerra questa sottocultura si ampliò velocemente: nel 1977 Frank Tirro, nel suo libro “Jazz: A History”, li definì in tal modo: « Per l’Hipster, Charlie Parker (celebre sassofonista anni 50 n.d.r.) era il modello di riferimento. È amorale, anarchico, gentile e civilizzato al punto da essere decadente. Si trova sempre dieci passi avanti rispetto agli altri grazie alla sua coscienza. Conosce l’ipocrisia della burocrazia e l’odio implicito nelle religioni, quindi che valori gli restano a parte attraversare l’esistenza evitando il dolore, controllando le emozioni e mostrandosi cool? Egli cerca qualcosa che trascenda tutte queste sciocchezze e la trova nel jazz. »
Ma torniamo ai giorni nostri, anno 2014, chi è un Hipster oggi? Bella domanda.
Gli Hipster ora ascoltano sempre Jazz? No, cioè qualcuno si, ma adesso gli Hipster (o almeno chi sembra tale), rispettano una sola regola: No Mainstream.
Le Major sono il male, l’indie è il bene; l’indie in ogni sua forma, che sia rock o elettronica, è importante che si rispetti la regola del “Do It Yourself”, se sei un gruppo “indie” e dopo un paio di album ti vendi alle Major, perdi il titolo e qualsiasi forma di rispetto.
La musica è la loro forma artistica preferita, ma di certo non disdegnano la cultura, il cinema, i libri e l’arte.
Solitamente si cerca di farsi piacere ciò che non piace alla massa, ma solo ai tuoi simili; per molti il regista di riferimento è Wes Anderson, come scrittore invece David Forster Wallace; una volta che questi stanno diventando “Pop” si preferisce guardare oltre.
Non si può pensare di descrivere un Hipster senza parlare del suo abbigliamento e di qualsiasi accessorio che lo contraddistingue. Non posso far a meno, quindi, che dirvi almeno i fondamentali: Jeans stretti a livello caviglia (con o senza risvolta), camicie di flanella o cardigan sopra la maglietta, converse, mocassini, keds, l’importante è che siano scarpe vintage o finte tali, occhiali con montatura spessa (da sole o da vista), biciclette a scatto fisso, baffi e qualsiasi accessorio Apple.
Ecco la Apple è forse la cosa più Mainstream che esista, ma l’hipster dei nostri tempi è schiavo di ogni cosa sia social, ed è quindi schiavo anche della Apple.
Insomma , questi sono gli Hipster. Eh no, avevo scritto “bella domanda”: io credo che il termine abbia assunto una valenza che sconfina la definizione oggettiva e finisce in quella personale.
Ognuno dà a questo termine un proprio significato, dettato dalle sue idee socio-culturali, dalle sue esperienze e dalle sue esigenze (il mio, più o meno, è quello che ho appena descritto).
Credo che in questo momento la cosa giusta da dire sia: “dimmi la tua definizione di Hipster e ti dirò chi sei”.
Questa apparente impossibilità di trovare una definizione univoca è data in particolare dalla regola numero uno dell’hipster-game, ovvero che sono sempre “gli altri”, mai noi, ad essere hipster. Per alcuni, essere definiti tali è una vera e propria offesa, altri invece vi diranno che non se la prendono, ma nessuno vi dirà mai che è fiero di esserlo. E questo, credo, per il semplice fatto che non si può essere fieri di qualcosa che non si riesce ad identificare, qualcosa che è impossibile conoscere veramente, mentre disprezzarla è quasi naturale.
Questa è comunque tutta filosofia, la cosa da notare è che questa non-sottocultura sta spopolando fra i giovani perché alla fine gli Hipster si disprezzano, però un po’ si invidiano, sono acculturati, ascoltano buona musica, vanno alle serate giuste e si vestono meglio di “te”.