Ebbene si, con l’edizione di domani 1 agosto 2014, il quotidiano L’Unità chiude i battenti dopo novant’anni di notizie, informazioni e perché no, battaglie.
Si perché L’Unità è stata fondata a febbraio del 1924 da Antonio Gramsci e negli anni ha visto un susseguirsi di firme eccellenti: Calvino, Pasolini, Pavese e persino Hemingway e Garcia Lorca oltre ad essere stata, come sappiamo, la testata storica del PCI.
Sembrano lontani quei tempi in cui la penna aveva un valore sociale (e non solo speculativo) e la carta stampata rappresentava il canale principale per tenersi aggiornati ma anche provare a costruire qualcosa.
Attenzione però, questo mio articoletto non vuol essere nostalgico, anzi, vorrei fondarlo su tre presupposti per fare una breve analisi: la democrazia, il mercato e il finanziamento pubblico.
Come prima cosa mi interessa la democrazia. Sono convinta che la libertà di espressione sia la più grande delle risorse che abbiamo per garantire e proteggere la democrazia. Per questo quando chiude un giornale un pezzo di democrazia si sgretola, un pezzo di cultura se ne va ed è soltanto una sconfitta.
Dopo questa premessa viene il mercato. È impensabile oggi avere i numeri de L’Unità: non ci sono più 6 milioni di lettori, non ci sono le vecchie penne o le grandi firme, ma ci sono due concorrenti forti come Il Fatto Quotidiano e La Repubblica che, a differenza del giornale di Gramsci hanno saputo rinnovarsi e adattare taglio editoriale e contenuti ai lettori che oggettivamente sono cambiati.
Mi verrebbe da dire che in assenza di sinistra, il giornale di sinistra in effetti serve a poco.
E ora arrivo al terzo punto: i debiti e il finanziamento pubblico. Si perché, se anche i lettori ci fossero e il target fosse centrato (diciamola così) la gestione ha generato 30 milioni di debiti che crescono di 700 mila ogni giorno. Questo si traduce in un vero e proprio scempio di fondi pubblici che ammontavano a 6 milioni annui fino al 2010 e tre milioni e mezzo annui nel periodo successivo. Gran parte del sostentamento del quotidiano (a seguito anche di un crollo pubblicitario vertiginoso) veniva proprio finanziato dallo Stato, lo stesso Stato che oggi viene accusato ( e con lui PD e Renzi) di non aver fatto nulla per evitare l’interruzione delle pubblicazioni.
E qui vorrei interrogarmi insieme a voi su questa triste situazione che si è generata: vale la pena pagare un prezzo così alto per la democrazia? Si può parlare ancora di democrazia quando il pluralismo è a spese dello stato? Si lo sappiamo che funziona così, che è il sistema perverso del sistema editoriale italiano e non solo ma chi ne farà le spese?
Nel caso specifico i dipendenti del quotidiano e anche ognuno di noi per la mancanza di una voce e di un punto di vista. In generale, il finanziamento pubblico è dannoso per tutti anche per la protezione di quella democrazia e dei quella onestà intellettuale che dovrebbe essere proprietà e prerogativa della stampa sia cartacea che web.
Ma forse è utopia e io nel frattempo rifletto per prendere una posizione e guardo le pagine bianche de L’Unità uscita ieri nelle edicole, che forse, oltre il simbolismo e la protesta, rappresenta per il mercato, l’ennesima occasione persa di dire qualcosa.