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Art.18 ancora tu? Ma non dovevamo rivederci più?

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Piccola premessa: non ritengo l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, “la madre di tutte le battaglie” sulla riforma del lavoro, quella è una reazione tipica della “Sinistra PD” che va a traino della CGIL, una cultura, un modo di pensare e di intendere la politica che non mi appartiene. Fine premessa.

Come sappiamo, l’articolo 18 dello Statuto, prevede il reintegro del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento ritenuto illegittimo, cioè senza giusta causa o giustificato motivo: si applica alle aziende con più di 15 dipendenti (5 nel caso di aziende agricole). Lo Statuto venne varato nel 1970 (fatto curioso: il PCI in Parlamento si astenne: “ll Pci si è astenuto per sottolineare le serie lacune della legge” scriverà l’Unità) per sanare situazioni di lavoro in fabbrica intollerabili: erano tempi in cui gli operai venivano schedati dai datori di lavoro e ricattati con l’arma del licenziamento.

Ma, “erano tempi” appunto.

Dico che “erano tempi”, non perché oggigiorno, non ci siano armi ricattatorie nei confronti dei dipendenti, tutt’altro… ma perché lo Statuto, così come concepito all’epoca, era pensato per un’altra Italia, un’Italia popolata da grandi industrie, che, spesso, erano anche a controllo para-pubblico (si pensi alla Cassa del Mezzogiorno, all’IRI ecc ecc). Un Paese, quindi, con un’intelaiatura economico-sociale figlia dell’età industriale e dei grandi scontri politico-ideologici fra borghesi e proletari.

Oggi la realtà è un’altra.

Le grandi fabbriche, le grandi aziende, nel nostro Paese non ci sono (quasi) più, perché il settore terziario, è diventato preponderante, ma in Italia, non si investe più per poche, semplici ragioni:

– Fisco oppressivo e rapace

– Giustizia lenta (che equivale a una giustizia negata)

– Burocrazia asfissiante e bizantina

I problemi di fondo sono questi, ecco perché ritengo la battaglia sull’art. 18 prettamente ideologica visto che, tra l’altro, solo il 2,4 per cento delle aziende, perché solo 105.500 di esse, su circa 4.426.000 in totale, hanno più di 15 addetti (fonte CGIA).

Inoltre l’articolo in questione, è già stato modificato dalla Riforma Monti – Fornero, la cui grossa novità riguardava il licenziamento per motivi economici (ristrutturazione aziendale) che veniva sanato con un indennizzo, non con il reintegro (a proposito: la suddetta riforma, venne votata, o comunque sostenuta, anche da quelli che oggi si spacciano come Eroi del lavoro Sovietico, gli Onorevoli Bersani e Fassina, ma, evidentemente devono soffrire di forti amnesie, N.d.R)

Il problema del mercato del lavoro, si risolve discutendone in maniera laica e senza preconcetti di sorta, individuando in primis, i problemi, che sono fondamentalmente due e strettamente legati fra loro: la precarietà (quindi una scarsa qualità dei posti di lavoro offerti) e la fitta giungla di contratti.

La strada maestra (che il Governo pare stia intraprendendo) è quella di abolire in toto le 40 tipologie di contratti che aumentano solo la burocrazia (l’unica industria che non ha risentito, non risente e non risentirà della crisi) sostituendole con un unico contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio (lo spiega molto bene un articolo del Corriere di qualche giorno fa, che potete leggere qui. In questo modo si garantirebbero buoni posti di lavoro con buon tasso di flessibilità (uno dei cardini della cosiddetta “Flexsecurity”) il tutto accompagnato da un nuovo welfare, magari sul modello tedesco dove se vieni licenziato, oltre all’indennizzo in base alle mensilità, lo Stato ti passa un assegno sociale, crea percorsi di formazione e reinserimento nel mondo del lavoro (ovviamente più lavori rifiuti più l’assegno diventa meno sostanzioso).

Perché sì, anche il welfare va totalmente rivoluzionato, visto che, in Europa, non c’è nessun paese che spenda così tanto in pensioni e così poco in assistenza per i disoccupati.

Un’ultima annotazione: si dice che chi vuole abolire l’articolo 18, “voglia togliere diritti a chi ce gli ha per darli ad altri, non è così che si risolvono i problemi”. Posta l’assoluta inconsistenza di questa proposizione, qualcuno spieghi alla Signora Camusso, che “le parole sono importanti” e dire (per difendere le, legittime, idee a sostegno del mantenimento dell’art.18 così com’è) che “non si è risolto il problema dell’Apartheid peggiorando le condizioni di vita dei bianchi” è, quantomeno inopportuno, se si prende come modello i privilegiati bianchi sudafricani.

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