Da dove inizio per descrivere l’intervista a Garibaldo Benifei? Dall’inizio, è la cosa più semplice, da quel “piccolo disguido” in Consiglio Comunale tra i partigiani dell’ANPI e il PD che mi aveva invogliato a proporgli un’ intervista, giusto un pretesto.
Conoscevo Garibaldo Benifei perché lo avevo incontrato spesso in manifestazioni pubbliche. Più volte avevo pensato di avvicinarlo – lui che si è sempre dimostrato molto disponibile alla narrazione – per porgli alcune domande in merito alle vicende che hanno caratterizzato la sua vita e contemporaneamente sono entrate a far parte della storia del nostro paese. Così mi sono messo in contatto con la famiglia ed ho preso un appuntamento per l’intervista: niente di più semplice immaginavo. Tuttavia col passare dei giorni, l’intervista si avvicinava e pian piano realizzavo che cosa stessi per fare. Non avrei intervistato semplicemente un signore centenario (e già lì un minimo di timore un trentenne dovrebbe averlo) ma stavo per parlare con un anziano Partigiano di 102 anni. La maggior parte di noi, la storia della Seconda Guerra mondiale e dei Partigiani l’ha studiata sui libri, invece Garibaldo Benifei quella storia l’ha vissuta ed ha contribuito a scriverla. Lui non mi spiegherà la storia, pensavo, ma mi racconterà la sua storia, me la racconterà con una perizia di dettagli impressionante.
Arrivo in casa Benifei, Garibaldo è li, seduto sulla poltrona, accanto alle sue compagne di sempre, sua moglie Osmana e ad una copia del giornale l’Unità: mi accoglie con un sorriso.
L’intervista al Benifei è iniziata così, io timoroso e impacciato e lui, un oratore eccellente: ha iniziato a parlarmi della sua famiglia del fratello socialista e dell’altro fratello anarchico “si bacchettavano tra loro, ma nella vita erano un esempio di bontà e di fratellanza”. Filo conduttore della sua famiglia era la politica, sospinta dagli ideali di libertà e di uguaglianza che erano negati a quei tempi.
Già a sette anni i primi ricordi riguardanti un aspetto della vita politica popolare, il Primo maggio a Campiglia, “una piazza piena zeppa di gente e tante tante bandiere rosse”. Benifei continua a raccontare che in quell’occasione ne fu inaugurata una in particolare, quella della “ Lega dei lavoratori della terra della Val di Cornia”, e mentre lui racconta scorgo nei suoi occhi una luce, non guarda me in particolare, ma mentre parla della bandiera rossa con la mente è li, in quella piazza tra quella gente, attratto da una passione per quel simbolo rosso, veramente profonda. Mentre mi racconta di quei fatti, lui rivive nella sua mente quei momenti e mi trasmette quella passione e quei sentimenti che ha vissuto a quei tempi.
Alle mie domande lui risponde con i ricordi di una vita e con i sentimenti che ha provato, come quando rivide quella bandiera nella sede del Partito fascista in piazza Cavour, dove lui, garzone, portava il caffè. La bandiera era in una specie di Sala dei trofei, in mezzo a tante altre bandiere, nell’ufficio del Segretario e quando gli portava il caffè, “c’avrei voluto sputare sopra”, la spiacevole sensazione di servire il Segretario fascista era mitigata dalla visione di quella bandiera “era una grande soddisfazione”.
La guerra e il fascismo travolsero la sua famiglia, che per più volte subì dei duri attacchi dai fascisti, tant’è che da Campiglia furono costretti a migrare verso Livorno perché minacciati di morte: “arrivò in casa una lettera dal comune che diceva :non siamo più in grado di garantire la sicurezza della famiglia Benifei”.
Arrivati a Livorno “si trovò tanta solidarietà, ci ospitarono nelle case della Vetreria italiana, case accanto alla fabbrica, nelle case degli operai, spartiti in diverse famiglie, tanta solidarietà, bella, una cosa straordinaria che è diventata un esempio per me. Questo tipo di volontà di aiutare chi soffriva e chi era in difficoltà, ecco come era la classe operaia a Livorno era organizzata in base alla solidarietà. C’era tanta compattezza, per me è stato un esempio”
I sentimenti antifascisti nacquero e crebbero molto presto in Garibaldo “Si sentiva il bisogno di combattere e di combatterlo per difendere la nostra libertà, fin da quando il partito fascista era legale, come tutti gli altri partiti, si sentiva una strana forza autoritaria che aleggiava nell’aria. Poi Mussolini con delle leggi speciali tolse tutte le libertà, i sindacati e tutte le altre forme partitiche”
In quei tempi morì un suo compagno. Il partito dei giovani comunisti e la federazione clandestina, gli organizzarono il funerale: parteciparono 5000 persone, un evento in pieno regime fascista! La notizia fu pubblicata in tutti i giornali europei, meno che a Livorno. Organizzarono i gruppi che dovevano seguire il corteo dentro e fuori, “si andò fino al cimitero e tornammo tutti indietro insieme per paura della reazione fascista” che ci fu giorni dopo con delle ripercussioni su piccoli gruppi di persone.
Il corteo di 5000 persone sfilò per le vie della città, lui era in testa al corteo e si girò indietro e “vidi uscire, compatti, uniti tutti insieme questo mare di gente, ci dette tanta forza, quella volta li non ci toccarono.”
Mentre il signor Benifei parlava, io mi perdevo nelle sue parole, estasiato da quei racconti, da quei dettagli. Mi immergevo in quei ricordi ed era come viverli di esperienza riflessa.
Durante tutta l’intervista la moglie è sempre stata al suo fianco, come per tutta la sua vita, sempre pronta a completare la frase del marito quando la memoria di Garibaldo si faceva, a tratti, nebbiosa. Il prossimo anno faranno 70 anni di matrimonio ed io allora spontaneamente ed ingenuamente domando loro se mi rivelano qual è stato il segreto di questa lunga unione visti i tempi che corrono. “I caratteri si amalgamano, entrano l’uno nell’altro, la mentalità, il modo di vivere” spiega Benifei, quando ad un tratto la moglie lo interrompe e prosegue lei stessa “un unione nel pensiero, se c’è un’unione di intenti le cose vanno bene, quando eravamo giovani noi la vita era difficile e se non avevi certi pensieri concordi i problemi li affrontavi peggio, i due che sono vicini e sono uniti affrontano meglio le difficoltà della vita”
A questo punto chiudo il mio quaderno di appunti e spengo il registratore. Saluto e ringrazio Garibaldo ed Osmana. Esco dalla loro casa con l’emozione di chi sente riconfermati da coloro che hanno fatto una lunga esperienza di vita personale e politica principi che già mi appartengono. E questa è una sensazione che mi infonde fiducia.
Ah dimenticavo……
Ultima domanda: Matteo Renzi?
E chi lo conosce! Qui a Livorno ci viene poco, deve avere qualche difficoltà siamo sul mare c’è il libeccio…