Un Guest post politico quello di Gino Fantozzi che ci propone delle riflessioni sullo scontro interno al PD.
Buona lettura
Riflessioni sullo scontro tra minoranza e maggioranza nel Partito Democratico
di Gino Fantozzi
Non è la prima volta che affronto questo tema, ma i recenti avvenimenti che hanno visto erigere vere e proprie barricate tra minoranza e maggioranza all’interno del Partito Democratico, mi stimolano a ripercorrere alcune riflessioni. E’ vero che il passaggio che ha consentito a Renzi di arrivare alla guida del governo è stato un evento di per sé alquanto brusco e fuori dagli usuali schemi, anche se legittimo, ed è pur vero che la gestione del Partito da parte dello stesso, soprattutto dopo il successo inaspettato delle elezioni europee, ha il sapore del decisionismo spinto, più che dall’autoritarismo come molti gli attribuiscono.
Tutte questioni che fanno pensare, ma alle quali è a mio avviso anche facile rispondere: ci dimentichiamo (per questo siamo davvero uno strano Paese) che la crisi economica e lo stesso atteggiamento ostile dell’Europa, meglio dire forse dei Paesi nordici dell’Unione, Germania in testa, avevano messo nell’angolo l’Italia di per sé affossata dai suoi problemi strutturali, non permettendole di poter avviare una politica di risanamento e di rilancio dell’economia (su questo poi si aprirebbe un altro capitolo su quali sono poi le scelte cosiddette europee e quali “interessi” nazionali garantiscono)?
Ebbene tutto questo rendeva necessario un vero e proprio colpo d’ala sul piano delle riforme che avrebbe consentito di bloccare questo fronte molto critico.
Non era stato in grado Letta di affrontarlo con la giusta dose spregiudicata anche di decisionismo necessario (le parole di questi giorni di Prodi in qualche modo lo evidenziano anche se la sua propensione sarebbe più quella del dialogo e della trattativa minuziosa), ed é allora, è bene ricordarlo che le critiche all’interno dello stesso PD cominciavano a farsi più decise.
In questo quadro non va neanche dimenticato che si operava e si opera tuttora in un Parlamento che non risponde più al quadro nazionale e agli umori dell’elettorato, ma che bloccato e litigioso (in tutti gli schieramenti!) non può essere rinnovato per mancanza di una legge elettorale.
Quindi operare in questo contesto con i tempi stretti resi necessari dal quadro internazionale e dalla crisi, doveva, e deve, necessariamente giustificare una certa dose di spregiudicatezza e di decisionismo e sicuramente (è nel conto) anche di imprecisioni e di errori.
Ma proprio se questa è la situazione mi viene da chiedermi se è giustificata la posizione assunta in queste ore dalla cosiddetta minoranza del Patito Democratico, che è, ed è bene sottolinearlo, di vera e propria rottura?
Io credo di no, come credo di no che non sia giustificata la generale posizione sulle riforme. E questo per più ragioni: la prima per una coerenza con il programma del governo approvato all’inizio con la fiducia accordata a Renzi. E’ dovere di un governo (anche se non è mai stato così) seguire il proprio programma. In secondo luogo per le proposte presentate nel tempo e discusse in più sedi.
Non regge la dichiarazione della minoranza di non essere stata mai considerata e di non aver mai influito sulle proposte del governo.
In terzo luogo per una normale dialettica politica, e democratica, di un rispetto della maggioranza nelle decisioni assunte. > Quindi sono più che convinto in linea con quanto ha dichiarato in questi giorni Claudio Tito su repubblica TV, che in fondo la posizione drastica della minoranza
del PD è riconducibile ad una lotta di potere all’interno del PD stesso.
E qui si apre un’altra riflessione.
Perché lotta di potere? la questione a mio parere affonda le sue radici proprio nella fondazione del PD e nella evoluzione (qualcuno forse direbbe trasformazione, e sia) che il Partito ha avuto in questi anni.
L’attuale cosiddetta minoranza è una componente che affonda le sue radici nei DS, nel PDS prima, nel PCI ancora prima e in altre frange dell’estrema sinistra raccolte negli anni, e nella presunta volontà egemonica di questa sul Partito Democratico, senza rendersi conto che per una serie di eventi, questa egemonia non ha ragione di esistere, in primis perché negli anni si è spenta la spinta propulsiva della stessa componente senza che da parte di questa si sia mai fino in fondo affrontato il cambiamento storico (e non soltanto internazionale ma anzi soprattutto nazionale) delle sue ragioni (peccato mortale), secondariamente per una strategia condotta negli anni di favorire l’ascesa (dovuta ad un confronto dialettico con una società moderata e nella ricerca a tutti costi di un consenso) di una classe dirigente non proveniente dalle radici storiche della componente di sinistra stessa (nella scelta dei sindaci, dei presidenti di regione, degli stessi parlamentari).
In terzo luogo nel non aver capito o comunque sottovalutato che il Partito si andava configurando così come un qualcosa di diverso, di sinistra si, ma non più (volendo stringere) classista. Infine nell’aver sottovalutato e snobbato la spinta generazionale e favorito la inamovibilità della sua stessa classe dirigente. Ecco che ora il Partito sotto la spinta spregiudicata di Renzi si sta trasformando in un partito della sinistra europea (o almeno ci prova) avvicinandosi per molti aspetti attraverso le sue scelte di governo ad una sinistra blairiana. Questo a mio avviso è il terreno principale di riflessione che scongiura anche quelli che gridano al pensiero unico, che non ha niente a che vedere con quanto avviene.