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Scuole paritarie, date a Cesare…

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La legge, secondo la Cassazione, è chiara: anche le scuole religiose devono pagare l’ICI (che dal 2011 è diventata parte integrante dell’IMU) poiché non sono attività che possono godere dell’esenzione. Quella della 5/a sezione civile della Cassazione, che ha accolto un ricorso del Comune di Livorno del 2010 (Giunta Cosimi), è la prima sentenza del genere in Italia su una questione finora così controversa.

Apriti cielo: immediatamente i Vescovi italiani si sono scagliati contro questa sentenza definita addirittura “liberticida” e la politica più vicina a tali ambienti ha annunciato la volontà di rimediare in sede legislativa a tale sentenza.

Io penso che la vera domanda alla quale si debba rispondere sia la seguente: ma per quale merito particolare gli istituti scolastici religiosi non dovrebbero pagarla?

Se volessimo valutare la questione considerandola una vicenda tra attività private, verrebbe da chiedersi come mai dovrebbe avvantaggiarsi un soggetto (nello specifico quello religioso) rispetto ad un analogo non religioso che intende intraprendere questo tipo di attività.

Se volessimo guardarla, invece, da un punto di vista meramente fiscale e contributivo, immaginando che il denaro che il Comune incassa dai gettiti ICI possano essere utilizzati per fornire servizi e opere a tutti i cittadini, verrebbe da chiedersi come mai tutti i cittadini livornesi debbano rinunciare alla riqualificazione di un marciapiede o di una strada oppure un contributo agli affitti agli indigenti (recentemente oggetto di tagli operati dalla Giunta del sindaco Nogarin) per andare in soccorso alle famiglie che decidono di far curare l’istruzione di proprio figlio ad un istituto religioso piuttosto che ad uno pubblico.

Tuttavia, il vero nodo della vicenda è il ruolo che si vuole dare alla scuola pubblica: penso che sia utile rimarcare il concetto che è la scuola lo strumento con il quale si “costruiscono” i cittadini italiani e che solo una scuola libera e pubblica possa assolvere con efficacia alla formazione di cittadini liberi e capaci di contribuire efficacemente alla collettività. Perché “scuola pubblica” significa un servizio universale e garantito a tutti, erogato in luoghi pubblici per tutti i cittadini da lavoratori assunti in un concorso nel quale sono stati testati in base alle proprie professionalità e capacità. Il valore inestimabile della scuola pubblica non è una battaglia o una prerogativa di pensiero ascrivibile a una qualsiasi formazione o fazione politica, perché è un valore che si trova nella Costituzione sia direttamente che indirettamente nello spirito con il quale è stata scritta.

È allora fin troppo facile capire che, visto che le risorse di uno Stato sono limitate e non infinite (concetto valido sempre, non solo adesso che siamo in una fase di crisi economica) e che il settore scolastico è strategico per la collettività, è ingiusto destinare una qualsiasi parte di queste risorse verso un soggetto privato. Compreso quello religioso.

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