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La ricchezza non è una colpa. Patrimonale?

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Ciclicamente nel nostro Paese, ritorna il fantasma della patrimoniale, un dibattito stanco che va avanti da anni e che -come al solito- non ha mai portato a niente. A rilanciare l’idea di una tassa sui grandi patrimoni, è stato emendamento alla manovra firmato da Leu e da alcuni parlamentari del PD, poi sconfessati dal partito.

Come si articola la proposta? Un prelievo a partire dai 500mila euro, calcolati comprendendo gli immobili, ma sottraendo il residuo del mutuo. Si parte da un contributo dello 0,2% tra il mezzo milione e il milione di euro, per salire fino al 2% sopra i 50 milioni. E contemporaneamente si cancella l’IMU sulla seconda casa, compensando i comuni per il gettito mancato (e su questo punto a Roma direbbero “Ciao core..”, l’abolizione dell’ICI nel 2008, portò molti problemi ai Comuni, che si videro mancare una fonte certa di entrate, N.d.R)

Se la proposta ha una evidente carica ideologica di giustizia sociale e redistribuzione – legittimamente, dopotutto viene da sinistra- ci sono delle criticità evidenti di ordine politico, principalmente, ma anche di impostazione generale del tema “tasse”.

Se è pur vero che questa proposta dovrebbe (forse) aumentare la giustizia sociale tramite redistribuzione, non si capisce perchè il partito che maggiormente, negli anni, ha fatto della lotta alla povertà (status, questo, abolito dalla manovra 2018 del Conte I – il gemello cattivo dell’attuale Premier- che istituì il pessimo reddito di cittadinanza) il suo cavallo di battaglia, il M5S, si sia subito schierato contro. Ma anche il compagno di Governo del Movimento, il PD “derenzizzato” che, a parole, doveva imboccare una strada più genuinamente socialdemocratica, proprio a seguito della scissione del “corpo estraneo” dell’ex segretario e Premier, si oppone.

Oggettivamente non si capisce bene perchè, in entrambi i casi. O forse si, cioè che le tasse non portano voti.

Parlare di patrimoniale non deve essere un tabù, certo. Ma dipende come se ne parla e di cosa si vuole fare col gettito riscosso da questa nuova imposta.

Il fatto è che quando si parla di patrimoniale, alcuni ne parlano con la bava alla bocca della vendetta verso i ricchi, come se la ricchezza fosse una colpa, un reato e come tale prevede una pena da espiare; la ricchezza come colpa è una costante nel pensiero politico italiano, derivante in parte dalla concezione cattolica del denaro (dove il denaro e la ricchezza sono viste come una cosa da evitare, se non per operare del bene e per raggiungere la salvezza eterna; tutto il contrario della concezione protestante, basti pensare a Max Weber, N.d.R) ma anche alla dottrina socialista massimalista – prima, comunista poi – dove il denaro, diventato capitale, è un mezzo sì di ricchezza e progresso, ma nelle mani del ceto sociale sbagliato: i capitalisti che devono essere abbattuti e sostituiti dalla classe operaia.

Per capire quest’ultimo punto, non è necessario rileggere libri polverosi del ‘900, ma basterebbe ricordarsi la campagna pubblicitaria di Rifondazione Comunista per le elezioni del 2006, dal titolo “Anche i ricchi piangano”, perchè il succo del pensiero sta tutto lì: essere ricco è una colpa da espiare e devi ripagare la società delle tue malefatte.

Se questa è la percezione, diffusa, del denaro in Italia basterebbe decretare la ricchezza reato, similmente a come nell’800 era configurato reato il vagabondaggio (e devo dire che una proposta del genere non mi stupirebbe più di tanto: la venezuelizzazione del Paese procede a ritmi spediti).

Questa era la parte politica, ma c’è anche la parte di impostazione generale sul tema “tasse” come dicevo.

L’Italia è un Paese che pensa di risolvere ogni difficoltà usando la leva fiscale, aumentando o inventando nuove gabelle (ricordate la plastic e la sugar tax?) pensando così di risolvere il problema che si è venuto a creare sul momento e contemporaneamente, fare un po’ di giustizia sociale redistribuendo la ricchezza: nessuno si pone mai il quesito sulla qualità della spesa pubblica e che, per redistribuire la ricchezza, ci vuole qualcuno che la crei.

E proprio sulla creazione di ricchezza, verrebbe da chiedersi che fine ha fatto il “Piano di Crescita” da presentare all’Europa per accedere ai sostanziosi, fondi europei- il “Recovery Fund”, o più correttamente il”Next Generation EU”- che dovrebbero aiutarci ad uscire dalla crisi economica a seguito della pandemia di Covid19; il sospetto è che questo piano non esiste, e si preferisce agire nel modo classico: tasse.

Che poi, intendiamoci: personalmente non sarei contrario a una patrimoniale/contributo di solidarietà in maniera assoluta, viste anche le disparità economico-sociali, certamente acuite dalla pandemia tutt’ora in corso, ma vorrei sapere cosa si intende fare con gettito riscosso. Se cioè col ricavato si intendono fare investimenti seri -che magari sul medio-lungo periodo portano a maggiore crescita economica (come fu l’”Agenda 2010” del socialdemocratico Schröder in Germania, che trasformò il Paese da “malato d’Europa” a “locomotiva d’Europa”)- in infrastrutture, riforma del fisco, giustizia, PA e nel comparto digitale solo per citare alcuni, possibili, investimenti. Se questa fosse l’idea, nessuno sarebbe contrario a una maggiore tassazione dei grandi patrimoni.

Il fatto è che, queste maggiori entrate, sarebbero utilizzate come ben sappiamo, cioè in spesa corrente: Redditi di Cittadinanza, Quota 100, Alitalia, Ilva e molto altro ancora.
Una pletora di operazioni assistenziali che non portano maggiore ricchezza e che, soprattutto, non aiutano chi è in stato di necessità ad uscire dallo stato di bisogno, non migliorandone la condizione sociale nè quella economica.

Riprendendo il tema della “ricchezza come colpa”, c’è chi propone di poter modellare una società in cui i “produttori” ricchi, devono pagare il sussidio a chi non ha (per alcuni questo è il modello di “reddito universale”): invece di aiutare, com’è giusto, chi ha bisogno tramite il welfare, in questa visione lo Stato abdica alla sua funzione di livellatore, diventando il garante di una parte a discapito dell’altra, una visione che ricorda molto il “panem et circenses” dei romani, dove i cittadini delle province lavoravano per mantenere la plebe romana.

Personalmente penso che lo Stato ha questo compito fondamentale: mettere tutti nelle condizioni migliori per produrre la ricchezza, senza la quale la povertà non verrà mai battuta.
Concludendo, non penso che essere ricchi sia una colpa, nè un peccato da espiare davanti alla società, un qualcosa da farsi perdonare…ma onestamente non me ne preoccupo più di tanto, visto che ricco non sono di certo.

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