Quella del cammino è una pratica che da sempre affascina l’essere umano che spesso la utilizza per ritrovare se stesso.
Quella del cammino è una pratica che da sempre affascina l’essere umano. Fin dall’antichità l’idea di incamminarsi per “ritrovare se stessi” ha influenzato moltissime persone che hanno deciso di intraprendere questa sfida personale in cerca di avventura, nuovi stimoli o spiritualità.
Le più grandi religioni, infatti, hanno fatto propria l’idea del pellegrinaggio, proponendolo ai fedeli come strumento di purificazione e penitenza, o come modo per avvicinarsi a Dio attraverso la fatica fisica.
Ai giorni d’oggi, la diminuzione delle tempistiche, dei rischi e dei costi di un viaggio, unita alla desacralizzazione delle culture, ha fatto sì che la categoria culturale del pellegrinaggio sia ormai sempre più intrecciata con quella del turismo di massa, del quale viene anzi considerata una specie di sottoclasse.
Oltre a questo, la massificazione del fenomeno ha contribuito alla nascita di una serie di servizi aggiuntivi che vengono offerti ai pellegrini, cosa che rende i cammini più adatti a persone anche in età avanzata.
Questa maggiore facilità di accesso ha permesso che in moltissimi si siano avvicinati a questo tipo di turismo. Il mese scorso io stesso ho deciso di prendere parte a un cammino, la Via degli Dei, che collega Bologna a Firenze attraverso 130 km, suddivisi in cinque tappe, tra gli Appennini. Sono da sempre un appassionato di trekking in montagna e, quando ho ricevuto la proposta, non ho saputo resistere all’idea di lanciarmi in una nuova avventura.
Dopo la scelta delle date e il reperimento dell’attrezzatura (tenda, sacco a pelo, mini-materassino gonfiabile, cibi liofilizzati, fornello da campeggio, un cambio per camminare e uno per dormire), abbiamo elaborato un itinerario suddiviso in cinque giorni con tappe di chilometraggio variabili (Bologna-Brento 31km, Brento-Madonna dei Fornelli 20km, Madonna dei Fornelli-Sant’Agata 33Km, Sant’Agata-Bivigliano 23km, Bivigliano-Firenze 23km) e acquistato i biglietti del treno per la partenza in modo da essere alle 9 del mattino a Bologna.
Approcciarsi a un cammino non è mai facile. L’impressione è sempre quella di non essere mai abbastanza preparati, dal momento che difficilmente si è in grado di allenarsi a percorrere certe distanze. La cosa che più consola, però, è il fatto che lo sforzo richiesto è sempre costante e mai estremo e che tutti i tipi di dolori, muscolari o articolari, rimangono gestibili a ogni passo.
L’idea che mi sono fatto è che completare un cammino, anche molto sfidante, sia più una questione di testa che di fisico.
Abituarsi alla fatica, sentirla dentro le ossa e i muscoli, sapere che, anche quando senti di non poter fare un passo ulteriore, le ore di camminata che ti separano dalla fine della tappa giornaliera sono ancora due, mette a dura prova l’animo del pellegrino.
La condivisione della fatica con i compagni di viaggio aiuta a far apparire il tutto più sopportabile. Lungo il tragitto, infatti, si incontrano continuamente camminatori che in alcuni casi possono anche diventare compagni di viaggio. Ritrovarsi nei ristori la sera, o a pranzo lungo la strada, e vedere negli occhi degli altri la stessa fatica che stai provando tu è una cosa che scalda il cuore.
Il pellegrinaggio è un simbolo che prima di parlare a te, parla in te, ti intriga, ti attrae, ti spinge, più che a dire, a sentirti dentro, a fare silenzio nella fatica, a vedere i tuoi limiti, a metterti in gioco. Ti lascia emozioni che difficilmente potresti vivere in altri contesti, dal primo passo che hai fatto, riposato dopo una bella colazione in piazza Maggiore, all’ultimo per entrare in piazza della Signoria a Firenze, urlante di gioia con tutti gli altri pellegrini che arrivano alla spicciolata.
È il senso di ammirazione verso te stesso, il poter dire “ce l’ho fatta”, il ripensare col sorriso a tutti gli imprevisti successi e il cercare su internet il prossimo cammino da fare perché quella sensazione di felicità la vorrai riprovare.
Troppo spesso nella nostra concitazione quotidiana ci siamo dimenticati di quanto sia bello impiegare cinque giorni per fare un tratto che normalmente, in macchina, facciamo in meno di due ore.
Oltre a farci staccare per un attimo dalle nostre vite frenetiche e piene di impegni, un cammino ci insegna che per godere delle cose belle è necessario fare dei sacrifici, che niente arriva senza la fatica del mettersi in gioco e che il raggiungimento della meta è solo una parte della fantastica esperienza che facciamo viaggiando. Oggi più che mai è importante ricordare le parole di Thoreau: il viaggiatore più veloce è colui che va a piedi.
Fonte foto: Nicola Del Sarto