I giovani di oggi vedono nel lavoro un mezzo per realizzarsi a livello personale, per esprimere la loro creatività e per dare un senso al loro stare al mondo.
Quando si parla di argomenti come giovani e lavoro con le generazioni più vecchie, spesso ci capita di sentire frasi come “I giovani non vogliono lavorare e sacrificarsi”, “I giovani non hanno più voglia di lavorare”, “Ai miei tempi si lavorava duro per mantenere la famiglia”, “A 16 anni lavoravo 12 ore al giorno per due spiccioli” e molte altre simili.
Che qualcosa sia cambiato nel modo di approcciarsi al lavoro da parte delle nuove generazioni è fuori discussione. Anni fa sarebbe stato impensabile passeggiare su un lungomare poco prima dell’inizio della stagione estiva e vedere stabilimenti, bar e ristoranti con la scritta “cercasi personale” in bella vista.
Che cosa è successo allora? È vero che i giovani non hanno più voglia di lavorare o c’è qualcos’altro sotto? Le spiegazioni semplicistiche non mi sono mai piaciute e per questo motivo penso sia necessario approfondire la riflessione sull’argomento.
C’è un dato interessante da cui partire: dopo la pandemia, 47.8 milioni di lavoratori negli Stati Uniti hanno lasciato il loro lavoro volontariamente, il numero più alto che si sia mai visto da quando queste statistiche vengono elaborate. Questo trend è sembrato ripetersi in tutte le economie occidentali e quindi anche in Italia. Gli studiosi hanno chiamato questo fenomeno “the big quit” o “the big resignation”, indicando appunto la tendenza dei giovani, soprattutto Millenials, a cambiare lavoro se il vecchio non era in grado di soddisfarli in termini di significato, flessibilità e realizzazione personale.
Si tende a spiegare il fenomeno in due modi: con il fatto che i lavoratori si siano impigriti e abbiano perso la voglia di lavorare o con il fatto che abbiano avuto un sussulto di dignità rifiutando condizioni lavorative sempre più precarie, faticose e umilianti. La realtà potrebbe però essere più complessa.
Come riportato dall’analisi annuale sul mondo del lavoro effettuata da Roadstar, in Italia il 56 per cento di giovani tra 18 e 40 anni, ha dichiarato che sarebbe disponibile a lasciare il lavoro se gli impedisse di «godersi la vita», contro il 38 per cento nella fascia 55-67 anni. Oltre a questo, i giovani danno un’importanza altissima all’essere soddisfatti del proprio impiego, con il 40% di loro che preferirebbe essere disoccupata piuttosto che svolgere un lavoro che non gli piace.
A ben vedere, l’insoddisfazione verso il lavoro potrebbe risiedere su un altro livello rispetto a quello che siamo soliti considerare. Potrebbe non trattarsi infatti solo di quantità di ore lavorate, di livello di retribuzione, di mansioni e di trattamento sul posto di lavoro. Forse questi non sono più i problemi principali che riguardano il rapporto tra persone e occupazione. Questi aspetti sono sicuramente importanti, ma non esclusivi. Forse è proprio il senso del lavoro ad essere entrato in crisi, il non riuscire a vedere come utile per la società la quantità di tempo dedicata al lavoro.
Rispetto alla generazione dei nostri nonni, che vedeva il lavoro come necessario per portare il pane in tavola per la propria famiglia, infatti, i giovani di oggi vedono nel lavoro un mezzo per realizzarsi a livello personale, per esprimere la loro creatività e per dare un senso al loro stare al mondo.
La pandemia degli ultimi 18 mesi ci ha permesso di mettere le cose nella giusta prospettiva e capire ciò che conta davvero, e tra queste cose sicuramente c’è un ripensamento personale, della valutazione del valore del proprio tempo libero e del tempo dedicato al proprio lavoro. In questo senso dobbiamo quindi vedere il nuovo movimento che sta prendendo piede in questo ultimo periodo e che prende il nome di YOLO economy. L’acronimo di “You only live once” viene utilizzato appunto dai ragazzi desiderosi di cambiamenti dopo il periodo difficile del Covid.
Sentiamo infatti moltissime storie che raccontano di ragazzi e ragazze che si sono reinventati un nuovo lavoro piuttosto che continuare a lavorare in un impiego che non dava soddisfazione o per un datore di lavoro non stimato. La cosa interessante sarà vedere se questa tendenza continuerà nei prossimi anni e che impatto avrà sul mondo del lavoro. Se da un lato è vero che molte attività potrebbero andare in difficoltà per l’impossibilità di reperire mano d’opera, dall’altro potremmo vedere un miglioramento generalizzato delle condizioni di lavoro.