… era il 1998.
La città di Livorno sta discutendo e preparando il nuovo Piano Operativo. E’ l’occasione per immaginare il futuro della città e avere diverse visioni di quel che sarà. L’avvocato Ruggero Morelli ha raccolto alcuni pensieri di concittadini appassionati e ce li ha inviati. Li racconteremo in questa rubrica, episodio dopo episodio. Ecco il nono.
Anch’io partecipai alla nascita di un’idea per il futuro di Livorno, era il 1998.
Durante una cena tra amici, tre coppie collaudate con pensieri simili, uno dice che alla figlia hanno chiesto di svolgere un tema in classe. Titolo: “Come vedi e come vorresti la tua città”. E noi – chiese – come la vediamo la nostra città?
Passati cinque minuti, un po’ tutti iniziarono a parlare; (e) le voci si confondevano e si accavallavano. Era partita come una gara a chi ne sapeva e ne diceva di più.
Di quella sera ricordo alcune frasi che trascrissi raccogliendole in diretta.
Il primo disse: ho vissuto tre anni a Pisa durante l’università e mi sento un po’ pisano; ho a noia la cosiddetta livornesità rivale di Pisa.
E poi, via via, gli altri intervennero così:
– infatti livornesi doc non esistono; la città è nata quando le altre come Pisa o Firenze avevano mille anni alle spalle;
– noi siamo eredi di levantini e ponentini che arrivarono al porto di Livorno, che si chiamava prima porto pisano;
– cari miei, i primi furono i sefarditi spagnoli e portoghesi che scappavano dalle fiamme dell’inquisizione;
– qui gli ebrei, senza ghetto, commerciavano liberi; ci sono ancora e li conosciamo bene: i Bedarida, Bassano, DePas, Cassuto. Una comunità forte che aveva anche rappresentanti nei consigli comunali. Ricordate gli Ortona e gli Orefice?
– con queste origini miste e l’impronta dei Medici di Firenze, era difficile andare bene con i pisani; però l’università l’abbiamo frequentata tutti e molti livornesi vi insegnano;
– eppure siamo anche un po’ gente di mare, penso ai barcaioli, ai navicellai, ai risicatori e anche facchini in porto. C’è anche un libro “Facchinerie” che ci ricorda quelle origini;
– allora meglio è quello su le Leggi Livornine che ci nobilitano;
– insomma siamo nati sulle spiagge del mare e da genti che parlavano greco, francese e inglese, mentre a Pisa ancora ora: gao. E poi non dimentichiamo che Livorno è stata scelta per la sede dell’Accademia Navale, nel 1881, grazie a Benedetto Brin. Una fabbrica d’ingegneri;
– insomma ne abbiamo passate tante e strane, ma ci sono cose che ancora non capisco. Perché Pisa e Livorno non sono parte di uno stesso Comune? Perché anche Collesalvetti fa comune a sé? Penso che molti sarebbero favorevoli alla loro unione. Ci abbiamo anche provato con il Centro Intermodale, ma…;
– già, e perché invece di eliminare le Camere di commercio non si fondono almeno a quattro a quattro che si risparmierebbe molto?
– ma avete visto che anche l’associazione degli industriali livornesi si è fusa con Massa-Carrara, e Pisa è rimasta da sola;
– il bravo avvocato Crovetti aveva lanciato l’idea di uno stadio per il calcio e per l’atletica, unico per Pisa e Livorno, a Coltano, liberando le due città da un ingombro e dal caos delle domeniche. Ma non se n’è fatto di nulla! però…
Pausa…
A quel punto si alza da tavola il nostro ospite che torna con un libro e alcuni fogli sparsi. Con l’aria da primo attore comincia a leggere. Anni prima aveva partecipato alla filodrammatica del teatro al Grattacielo. Forse era tagliato per i monologhi come Michele Crestacci (Picchi, Caproni, Modigliani, Mascagni):
“è una bozza che custodisco da tempo – disse con enfasi – e che ho scritto dopo un incontro con due consoli che avevano sede in città. Eravamo vicini al Forte San Pietro in via degli Ammazzatoi(!), là dove anni prima c’erano i macelli comunali. Mi pare con sei grandi capannoni e altre strutture.
Ed ecco l’idea che venne fuori dopo quell’incontro: “recuperiamo questi locali abbandonati e offriamone un pezzo ciascuno ai Paesi che si affacciano sul Mediterraneo come Francia, Principato di Monaco, Spagna, Marocco, Tunisia e così via fino alla Iugoslavia. Gratuiti con l’onere di tenerli aperti e attivi con esposizioni di artigianato e arte del proprio paese.
Sembrava il viaggio di Ulisse, ma anche quello di Enea.
“Diventerebbe – disse ancora – una galleria, un’esposizione permanente visitabile dai turisti che transitano per Livorno in attesa d’imbarco per le isole, oppure di ritorno dalle isole. Un’attrazione da fondersi col mercatino americano di recente memoria. Livorno e il suo porto come riferimento dei popoli e dei commerci dell’epoca della sua nascita negli anni 1577-1670. Turismo sì, ma anche centro di nuovi scambi internazionali. Ben tre consoli avevano aderito all’idea. Uno di noi aveva già pensato che in quel centro poteva nascere un piccolo teatro-anfiteatro comune.
Ancora: “Si era pensato anche di offrire uno spazio all’Accademia Navale, come avviene ogni anno durante la festa del mare e delle vele, e anche a un centro per ricerche sul mare, sui mezzi di trasporto delle merci e a una fiera-workshop come quella nata a Cecina. Qui – e concluse – ho la traccia scritta del progetto che fu presentato informalmente a un paio di amministratori con il titolo “Per un nuovo Mediterraneo”.
Nuova pausa.
La mente dei presenti a quella cena vagava per le viuzze della novella kasba mediterranea immaginata tra i capannoni degli ex macelli.
E dopo il caffè tutti a casa.
Perché non riprendere l’idea?