In questo caos pre elettorale, una riflessione che parte da lontano, per provare a capire insieme cosa c’è dietro alla sinistra che si astiene.
Soltanto pochi giorni ci separano dalle elezioni politiche più a destra dal dopoguerra ad oggi.
Da mesi la destra è in vantaggio in ogni sondaggio: Fratelli d’Italia domina lo schieramento con la Lega di Matteo Salvini relegata ad un ruolo di comprimaria e la rediviva Forza Italia a chiude le fila. Non c’è un elettore, ma dico uno, di destra che abbia alcun dubbio: “Vincere, e vinceremo!” si dicono tra loro gli “irriducibili eredi del Duce”, come Ignazio La Russa ha avuto piacere a definirsi.
Eppure lo schieramento azzurro è come il vaso che aveva la mia nonna sul canterale: da lontano pare un pezzo solo ma se ti avvicini non puoi non notare che è un insieme di mille pezzi tenuti insieme alla bell’e meglio con la colla.
I distinguo sull’Europa sono all’ordine del giorno: la Meloni dice che con lei al governo la pacchia per l’Europa è finita, Salvini è d’accordo, mentre Berlusconi annuncia già che uscirà dal governo (della destra che si formerà dopo le annunciate vittoriose elezioni) se la sua collocazione non sarà fortemente europeista. Ma anche sull’idea di nazione non mancano le diversità di vedute: Fratelli d’Italia è caratterizzata da un forte nazionalismo, la Lega non ha mai dimenticato di essere quella federalista di “Roma è ladrona”, mentre per Forza Italia è sufficiente che Berlusconi possa aspirare a diventare il presidente dell’intera Repubblica.
Negli ultimi giorni sono esplose le contraddizioni anche su politica estera e guerra in Russia, deflagrate dopo l’intervento di Draghi in conferenza stampa, intervento sul quale Berlusconi ha fatto trapelare di pensarla esattamente allo stesso modo: Marione ha detto che “c’è chi parla di nascosto con i russi, chi vuole togliere le sanzioni” ma che “la democrazia italiana è forte, non si fa battere dai nemici esterni, dai loro pupazzi prezzolati.”, riferendosi evidentemente a Matteo Salvini, del cui rapporto con Mosca sembra che si sia lamentata anche la Meloni.
Eppure, in tutto questo guazzabuglio, non mi sono mai trovato di fronte ad un elettore che dicesse: “Noi a destra facciamo schifo, i politici preparati che avevamo non ci sono più. Non me ne frega se vince la sinistra, me ne sto a casa.” Nell’elettorato di destra non albergano mai dubbi: tra andare a votare e non andare, tra scegliere uno dei maggiori partiti oppure no. A destra si vota in maniera proficua molto più che a sinistra. Perché, come diceva Silvio in una delle sue proverbiali barzellette, “Se a un convegno di destra parli male della sinistra tutti ti applaudono. Ma se a un convegno di sinistra parli male della sinistra, tutti ti applaudono ancora”.
Non che nella coalizione rossa manchino i punti di disaccordo, figuriamoci. A partire dal giudizio sul governo Draghi, per continuare sulla politica di sviluppo industriale o sull’aggressività delle politiche del lavoro: ma, in generale, basta sempre davvero poco per instillare nella testa dell’elettore di sinistra il fascino dell’astensione.
Il percorso mentale di solito si sviluppa così: “Mi fanno tutti schifo. La sinistra vera non esiste più. Il Pd non è abbastanza a sinistra. L’altra sinistra, ma chi sono? No no non li voterei. L’ambiente va difeso, ma i Verdi non mi piacciono. Di Maio lo voto solo quando va a chiedere scusa a ogni cittadino di Bibbiano.E allora, sai che c’è? Me ne sto a casa.“
Come mai? Non c’è una risposta esatta, ma una mia impressione ce l’ho, e si compone di due aspetti: uno storico e uno contingente. Il primo è che la sinistra storicamente non è mai stata al governo nazionale: i comunisti, si sa, non potevano governare in Italia, ma dall’opposizione si sono comunque giocate e vinte innumerevoli battaglie sul lavoro, sulla scuola e sulla sanità. Per qualcuno quindi, tutt’ora, non è necessario governare per ottenere risultati significativi. E poi a governare ci si corrompe, si scende a compromessi, ci si annacqua: in una visione retrospettiva che in qualche maniera alberga soprattutto nei boomers, spesso è meglio non farlo e disperdere il voto nell’astensione o in uno degli innumerevoli partiti che si propongono di perdere in purezza.
L’aspetto contingente è invece la crisi dei valori di sinistra, non nella loro mancanza di attualità rispetto alle necessità globali, ma nella loro percezione. Come sintetizza il maestro Barbero, dai governi Thatcher e Regan la destra ha assunto uno ruolo sempre più forte, andando a diventare il pensiero dominante di tutta la società. Un mondo dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più drammaticamente poveri non vede come prioritario che il potere economico, democratico e politico debba essere redistribuito e non accentrato. Questa visione, ovviamente, è presente anche nel bel paese, e a rimetterci è sia l’elettorato (che si comprime in numero), che va a cercare risposte nell’offerta politica a sinistra, che l’offerta politica stessa, che si sposta in qualche maniera a destra.
Un esempio su tutti come riprova: fa veramente specie che nel Pd ci sia difficoltà a parlare e ad imprimere forza a salario minimo e imposta di successione e patrimoniale.
Oltretutto i sondaggi che danno la destra per stravincente (ma che si stanno invertendo negli ultimi giorni, tanto da far dire a Letta “adesso il recupero è possibile”), a sinistra non suonano come una chiamata alle armi e non sono un incentivo al cosiddetto “voto utile”, richiesta di cui si è largamente abusato negli ultimi anni agitando spauracchi che mai come oggi sono concreti: se la destra avrà il 66% dei parlamentari, sarà davvero difficile resistere alla possibilità di modificare la Costituzione nata dalla Resistenza senza passare dal referendum.
Un consiglio: se siete indecisi, decidetevi a votare. Ed a sinistra, possibilmente.