Proverò a non fare sermoni noiosi sulla decadenza del nostro Bel Paese in tema di musica e derivati. Giuro, ci provo. Ma quando vedi che i nostri vicini di casa riescono a sfornare una de-regolamentazione sugli eventi, che tende a promuovere le band locali e, soprattutto, a elevare come valore fondamentale la musica, ti vengono a mente tante perplessità.
Live Music Act, introdotto nel 2012 da Don Foster, ha l’enorme vantaggio di trascendere dal cd red tape inglese che portava a tutto men che ad una semplificazione.
Per l’esibizione live nei locali, c’era bisogno di un’apposita licenza e, ad oggi, questo non è più un requisito di idoneità.
I soli limiti prescritti sono sia dimensionali, ossia il locale deve avere una capienza inferiore alle duecento persone, e temporali: si può far tutto ma solo entro le 23. Inoltre incentiva l’utilizzo dell’acustico.
Il Licensing Act del 2003 è stato totalmente abolito nelle sue limitazioni, proprio per tendere ad una riforma rock’n’roll nel suo genere… Più progressista che mai.
E in Italia?
Tutto ciò ha causato un forte impatto mediatico, portando diversi esponenti culturali a farsi sentire “sonoramente”.
Vincenzo Spera, presidente di Assomusica (Associazione italiana organizzatori e produttori di spettacoli e musica dal vivo nb), in una lettera aperta al Presidente Letta, punta la trattazione sul ruolo cittadino – Stato; uno Stato che non ti fa sentire così amico come dovrebbe. Che porta ad un “impoverimento intellettuale ed interiore che sta distruggendo qualsiasi speranza, qualsiasi sogno, qualsiasi intimità. Un impoverimento che inevitabilmente trascina verso l’alcool, la droga e il gioco”.
E dal canto suo, anche l’ex assessore di Milano, Stefano Boeri, propone una petizione che include una lettera al ministro Bray – Ministro dei Beni e delle attività culturali e del turismo- affinché venga proposta in Parlamento una nuova legge sulla musica dal vivo.
Quello che colpisce di più da questa petizione è sicuramente la frase “La musica ,come ben sappiamo, non è un prodotto preconfezionato’’.
Quello che Boeri vuole trasmettere al Ministro, è che la musica concilia l’incontro tra generazioni diverse, culture diverse; nasce da situazioni imprevedibili (come tutte le cose più belle, e questo è incontestabile), in luoghi “occasionali”. E quello che il Parlamento dovrebbe porre a fondamento della sua azione positiva, è la convinzione che aiutare la musica nella sua crescita fisiologica significa offrire a migliaia di uomini e donne la possibilità di esprimere sé stessi, e di moltiplicare una serie di reazioni a catena non indifferenti.
Valorizzare il turismo, ad esempio, produrre lavoro, creare una sorta di catena alimentare tra chi gestisce la musica, chi ne è l’autore e chi la pubblicizza.
In Italia tutto è incardinato su licenze e concessioni varie, oneri, imposte, permessi di qualsivoglia tipo: la proposta mira ad annullare totalmente le procedure burocratiche, in accordo con la SIAE e l’ex ENPALS, e disincentivare la richiesta dei permessi per esibirsi dal vivo.
Si chiede di definire delle regole che tengano conto di una soglia massima di spettatori a locale, di stabilire orari per esibirsi e che siano uniformi su tutto il territorio nazionale, per andare incontro ai residenti, di creare regole uniformi per tutti i gestori, fruitori e promotori degli eventi.
E soprattutto questo potrebbe avere un impatto sul tessuto sociale odierno. La noia porta al non saper cosa fare, e a impigrirsi; più si semplifica la procedura burocratica per esibirsi dal vivo, più si moltiplicano gli spazi musicali, più si incentiva il giovane a essere semplicemente curioso.
Com’è che si dice? Ah sì. La speranza è l’ultima a morire.