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Articolo 18 e balena bianca: è possibile stare a sinistra con Renzi?

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C’è una domanda la cui risposta mi angoscia da tempo, che mi viene posta da diverse persone sia in chiave personale che in chiave generale critica: “Ma come fa una persona di sinistra, per davvero, a sostenere Renzi?” Le tensioni e le riflessioni che ha scatenato recentemente la proposta della riforma del mercato del lavoro, il cosiddetto Job Act, hanno riproposto nuovamente queste domande. Provo, molto umilmente, a suggerire risposte sensate.

Intanto, come è ovvio che sia, mi sembra sciocco parlare di “sostegno a Renzi”: a sinistra non si riesce proprio a liberarci dal meccanismo della personalizzazione. Nello specifico, questa trappola, che era l’esca principale dei partiti di Silvio Berlusconi (da Forza Italia a…Forza Italia) dove è giunto a livelli di clamore assoluto, come ad esempio mettere il nome nel simbolo del partito pur non essendo candidato Premier alle Politiche oppure mettendosi Capolista in ogni collegio regionale.

C’è da dire che nel tempo sono stati in moltissimi a seguire le orme di Silvio e a tentare di incrementare il proprio bacino elettorale puntando sul proprio appeal: dal nemico giurato Di Pietro nella scarsamente compianta IDV, allo stesso Veltroni nel primissimo Pd, per finire ad Ingroia e all’arcinemico Fini.

Insomma, è cosa più ricorrente di quello che pensiamo ma passa spesso inosservata per un motivo: questi personaggi hanno uno scarso appeal, talvolta nullo o perfino negativo. Con Renzi è evidente solo perché, alla prova dei fatti, funziona: gli è bastato “rilevare” il premierato da Letta fino ad allora timidamente apprezzato dalla società, annunciare il percorso di alcune riforme “calde” per dare l’impressione di avviare un lavoro di medio-corto respiro, promettere gli 80 euro in busta paga (le elezioni si sono svolte prima dell’arrivo materiale della prima busta paga appesantita dal Governo) e il 25% del febbraio 2013 si è tramutato in un 40%. Quindi chi pensa al Pd come “partito di Renzi” rimane in grave errore, che perpetra quando continua a parlare di “potere dittatoriale”: bisognerebbe ricordare come un Congresso simile a quello che aveva dato a Bersani il 60-65% della Direzione e dell’Assemblea del Pd (organi che continuano ad essere vivi e vegeti) ha dato a Renzi il 70%. Per altro, quello che è terminato l’8 dicembre è stato un congresso che ha visto ben due tornate, una “interna” per gli iscritti e una “esterna” aperta a tutti. Per dispiacere di D’Alema&Co. l’affermazione di Renzi (sebbene a cifre tutt’altro che bulgare) è avvenuta anche tra gli iscritti, quelli che la c.d. “vecchia guardia” guarda con occhio rigonfio di orgoglio proveniente da altri tempi. Invito a domandarsi se anche loro “non ci hanno capito” (refrain imbarazzante e snervante di tutte le recenti sconfitte elettorali, come se fosse in errore chi non considera giusto un certo percorso e ne preferisce un altro perché più convincente) o se l’errore stia nella proposta politica e soprattutto nella sua credibilità.

Vi siete mai chiesti come mai, alla prova elettorale, siano più credibili i più giovani? E’ il meccanismo del “quarto bottone del medico”: ti rechi dal medico con la pressione leggermente alta, la glicemia ai limiti superiori, il colesterolo che galoppa come Varenne e senti la fredda mano della Nera Signora accarezzarvi il collo. Quando gli esponi i problemi chiedendo una terapia, una qualsiasi pasticca o bustina di farmaco magico ricevi questa risposta “Macchè medicine! Devi mangiare meno e muoverti di più”. Al che, sconsolato, ti cade l’occhio sul quarto bottone della camicia: è li, teso come una corda di violino, rosso paonazzo che cerca in tutti i modi di tenere vicino il limbo della camicia tirato dalla pancia del medico, sperando che il filo che lo lega all’altro lato della camicia rimanga ben saldo.

D’Alema, Bersani, Cuperlo e Fassina hanno la stessa credibilità nel difendere l’articolo 18 che ha il medico a cui gli tira il quarto bottone della camicia. E’ irritante sentire tessere le lodi dei tempi ormai andati, affermare la propria assoluta appartenenza alla sinistra dura e pura, ricordare la storia delle lotte sindacali e quant’altro, da persone che si sono macchiate di delitti politici ben più gravi del Job Act. Non sfuggirà a nessuno che D’Alema ha fatto senza alcun successo la Bicamerale con Berlusconi (altro che inciucio…), è stato Premier in momento di crescita (a sentire lui, unico momento in cui si possono produrre buone riforme) senza fare la famosa legge sul conflitto d’interesse né altri tipi di riforme se non aver contribuito ad “inventare” grazie alla legge Treu il precariato in Italia. Bersani e Fassina non riescono a sostenere il Job Act che punta al sussidio di disoccupazione universale e al contratto unico a tutele crescenti, ma non hanno avuto difficoltà a votare la legge Fornero che ha prodotto esodati, allungamenti tempi di pensionamento e svuotato “de facto” di poteri dell’articolo 18.

Dunque alla domanda  “Come fa uno di sinistra a sostenere Renzi?” io risponderei: una persona culturalmente di sinistra non potrà mai e poi mai essere conquistato da Renzi. Tuttavia, se è possibile definire la sinistra come quella forza che ricerca il continuo progresso che permetta ad ogni persona o gruppo di esprimere le proprie potenzialità con il fine del miglioramento delle condizioni di tutta la comunità e della propria, nel contesto politico nazionale non può che inquadrarsi nel Pd e non può che ritrovare in Renzi l’unico interlocutore plausibile per la realizzazione di tale progetto.

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