Da quasi due settimane è conclusa una tornata elettorale prettamente regionale (e, a dire il vero, anche su alcune città importanti, Venezia in testa). Si è votato in Veneto, Liguria, Puglia, Toscana, Marche, Umbria e Campania. Di queste 7 regioni in 5 c’è stata un’affermazione del candidato sostenuto dal Partito Democratico (Rossi in Toscana, Emiliano in Puglia, De Luca in Campania, Ceriscioli nelle Marche e Marini in Umbria) mentre in Liguria ha vinto Toti di Forza Italia e in Veneto si è confermato Zaia della Lega Nord. Le regioni che hanno cambiato orientamento sono state la Liguria, precedentemente amministrata dal centrosinistra, e la Campania che è stata strappata dalle mani di Caldoro (Pdl).
Fin dal primo momento c’è stato un grido alla vittoria di tutti i partiti coinvolti. Possibile che abbiano vinto tutti? Ovviamente no, ma si sa che nell’epoca del social media è decisivo apparire vincenti a tutti i costi: ma come stanno le cose veramente? Chi ha ragione di festeggiare e perchè?
Innanzitutto è importantissimo dire che le elezioni sono state marcate da fortissimo astensionismo. Infatti ha votato solo il 52% degli aventi diritto e questo calo totale dei voti ha colpito in primis Pd e Fi (come testimonia l’analisi dei flussi elettorali regione per regione di SWG, uno studio dell’Istituto Cattaneo che trovate a fondo pagina e un’analisi di Ilvo Diamanti). L’elettorato del M5s non è in prevalenza rimasto a casa, ma confluito in buona parte nella Lega.
A tal proposito, la Lega è stata la più rapida a cantare vittoria: sono loro l’unico partito che aumenta i propri consensi, facendo il doppio delle elezioni politiche del 2013 (+109,4%, +400.000 voti) e aumentando del 50% rispetto alle europee del 2014 (+256.000 voti), con un’avanzata ancora più sostenuta nelle regioni tradizionalmente rosse dove la loro presenza iniziale era residuale. Con questo risultato la Lega Nord è diventato il primo partito dell’area politica della destra, con un eloquente sorpasso nei confronti di Forza Italia: nel 2015 il peso delle camicie verdi è doppio rispetto a quello delle camicie azzurre (67% vs 33%).
Anche se la vittoria di Toti in Liguria funge da blando analgesico, il risultato di Forza Italia alle regionali del 2015 è stato disastroso: ha complessivamente perso il 46,9% rispetto alle europee del 2014 e oltre i due terzi dei consensi avuti alle politiche del 2013 (-67,0%). In termini assoluti si parla di una perdita di 2 milioni di voti sul 2013 (-1.929.827) e quasi 1 milione rispetto al 2014 (-840.148).
Altro partito che risulta in difficoltà è il Movimento 5 stelle (M5s), che riduce i propri consensi di circa il 60% rispetto all’exploit delle politiche del 2013, ma anche rispetto alle europee del 2014 (-40,4%). In valore assoluto questa variazione si traduce in una contrazione di voti pari a (-1.956.613) rispetto alle politiche e -893.541 rispetto alle europee: numeri paragonabili alla caporetto di Forza Italia. Ed è proprio Salvini il salassatore più cospicuo di Grillo: i flussi elettorali garantiscono che gran parte dell’elettorato si è spostato sulla Lega e non ha disertato il voto.
Sul 5 Stelle è impossibile fare un ragionamento di liste in appoggio al candidato Presidente (non ne avevano) ne ragionamenti di area politica (rifiutano ogni alleanza o intendimento con altre forze): è possibile però registrare il crollo dal 25,7 del 2013 al 21,5 del 2014 fino all’attuale 15,7.
Se Atene piange, Sparta non ride: il Partito Democratico, pur avendo portato a casa un 5 a 2, ha visto un calo di consensi cospicuo, dissipando sul terreno oltre due milioni di voti rispetto alle europee del 2014 e un milione rispetto al 2013. Sono loro i vincitori del “premio astensione”: la stragrande parte degli elettori persi è andata al mare, o in montagna. Non a votare Grillo, tantomeno Salvini o Berlusconi: e tranne in Liguria, con il Partito colpevolmente spaccato in due blocchi a sostegno della vincitrice delle primarie e al tempo stesso contro di essa, non ha ceduto voti neanche ai movimenti alla sua sinistra, suggerendo che alla sinistra del Pd lo spazio praticabile non è stato interpretato, con buona pace di Landini, Civati, Mineo, Fassina & co. Le alternative a sinistra del Pd hanno drenato pochissimo. E’ anche vero che il fenomeno delle liste in appoggio al presidente ha giocato un ruolo forte nella sottrazione di voti alle liste “ufficiali” del Partito di Renzi: analizzando i dati nel complesso si può stimare una percentuale reale di elettorato del Pd attorno al 37%, in discesa comunque di 5% rispetto alle europee.
In definitiva mi sento di trarre queste conclusioni:
– la Lega avanza molto, ma il centrodestra nel complesso perde voti: non riesco però ad immaginare una coalizione di destra nazionale guidata da un partito razzista e antieuropeista come la Lega;
– il “revival” di Forza Italia è stata la tomba elettorale di Silvio Berlusconi, veramente sparito dalla scena politica dopo l’avvento di Renzi (che che se ne ciarli a proposito del “Patto del Nazzareno”);
– il Movimento 5 stelle è in caduta e perde lo scontro populistico antieuropeo verso la Lega Nord oltre a pagare un tributo alla chiusura e all’immobilismo che gli esponenti di Grillo mostrano a tutti i livelli istituzionali in cui sono presenti;
– ancora un volta, per la terza tornata elettorale di seguito, il “centro” moderato non esiste più;
– il Partito Democratico perde molti voti ma rimane il partito più in forma, schivando un possibile giudizio negativo da chi voleva utilizzare queste elezioni come le “Midterm” americane: Renzi tiene botta nonostante la crisi porti solitamente gli elettori a colpire il partito di Governo, nonostante che gli 80 euro siano ormai solo un ricordo e che le le proteste del mondo della scuola siano ben recenti. E’ necessario comunque puntare gli occhi soprattutto sulla strutturazione del Pd a livello locale e sull’idea del “partito della nazione”; meglio il partito a vocazione maggioritaria.
– le liste che intendono collocarsi alla sinistra del Pd non trovano praterie in cui correre ma solo spazi angusti e pare finalmente passato il concetto nell’elettorato che la sinistra abbia piena cittadinanza all’interno del Partito Democratico.