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Avete letto “Un mondo senza noi”?

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Gino Fantozzi ci parla di “Un mondo senza noi” di Manuela Dviri

Un consiglio di lettura per non dimenticare, in questi brutti tempi di dichiarazioni politiche su bambini e famiglie che arrivano in Italia, che restano vive, non molto lontano, tragedie che riguardano altri bambini e che sono, in parte, storie italiane.

Storie di famiglie che diventano anche, e soprattutto, memoria civile e politica di intere generazioni, scavalcando gli stessi confini nazionali per mettere i piedi nel piatto dolente e tragico della contemporaneità israeliana. Storie di famiglie che si intrecciano tra le città di Ancona e di Padova e che, nella foga di volerle narrare l’autrice si scopre lei malgré nei panni della ricercatrice. Viene colta, cioè, dalla passione della scoperta di ambienti, luoghi e relazioni poco conosciute, se non addirittura sconosciute al momento della narrazione e che si libereranno a poco a poco dall’oblio inesorabile del tempo e della dimenticanza. Un gruppo di individui legati tra loro da vincoli di amicizia e di parentela prima che religiosi si trovano a confluire come soggetti drammaticamente passivi nell’alone terribile dell’indifferenza generale, nel mezzo di una delle pagine più atroci della nostra storia.

Fa bene Manuela Dviri, l’autrice, a mettere in luce, dopo anni di sottovalutazione storica e di giustificazionismo riduttivista un poco all’italiana, il dramma delle leggi razziali italiane promulgate nel 1938.  In questo libro ci sono due famiglie protagoniste, che a causa di quelle leggi del 1938 dovranno fare i conti con la rovina economica e con la deportazione. Ma se fino a qui le vicende narrate da Manuela Dviri rientrano in uno schema narrativo ben preciso, uno schema che ricorda il ‘percorso della memoria’ avviato da Natalia Ginsburg con il suo celebre Lessico famigliare, successivamente l’autrice riesce a consegnarci un affresco altrettanto complesso e originale. Manuela Dviri, insieme alla gioia e alle storie anche divertenti delle sue famiglie paterna e materna nei loro intrecci, riesce a restituire la drammaticità della situazione israeliano-palestinese contemporanea. Lo fa esprimendo i suoi dubbi, i suoi tormenti, e, quasi in punta di piedi, ci fa partecipi anche della tragicità della perdita in guerra del figlio.

Ma chi è nella realtà Manuela Dviri? Una giornalista affermata, attivista di punta della fondazione Rabin per la pace e l’integrazione tra israeliani e palestinesi (si contano a migliaia i bambini palestinesi che grazie alla fondazione e l’impegno della Dviri si sono potuti curare negli ospedali israeliani), rappresentante di spicco di quel movimento per la pace che vive e cresce nonostante la politica spesso per comodo lo trascuri.

Ho incontrato Manuela a Tel Aviv un anno fa, quando il possibile accordo tra Hamas e Al Fatah faceva sperare e addirittura gridare da parte di qualcuno ad una possibile svolta positiva dell’annoso conflitto tra Israele e Movimento palestinese. Si mostrò scettica, “nessuno accetterà mai una pace, almeno per ora”. E a questo punto la donna forte, esuberante, attiva che era si velò di tristezza e aggiunse: “io dormo sempre con la valigia sotto il letto”. Una frase che mostrò, almeno a me parve, tutta la fragilità di un popolo e della sua storia millenaria. Da lì a pochi giorni cominciò il fitto bombardamento di missili su Tel Aviv dalla striscia di Gaza, e tutto ricominciò nella solita maniera drammatica: la risposta furono altri bombardamenti e tante vittime tra i bambini palestinesi.

Resta la ricchezza di “Un mondo senza noi”, che consiglio vivamente di leggere. Un libro che fa pensare, che è ricco di umanità profonda. Dentro Un mondo senza noi c’è la volontà tenace di ricercare e di scoprire le proprie origini, ma anche la rivelazione di quanto forte può essere un impegno civile, quello della pace, e infine c’è il terzo contrappunto di un pudore commovente, tutto privato, quello di una madre colpita nel più profondo dei suoi sentimenti.

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