Un altro contributo che ci è stato inviato. L’amico Federico Bernini ci fa scoprire qualcosa in più sulla Costituzione italiana
Il grande assente.
Di Federico Bernini
Quando qualche giorno fa Alessio Ciampini, mi ha chiesto se avessi voluto dare un contributo al blog “Fuoricomeva?” con un articolo sulla Costituzione italiana ho accettato volentieri.
Mi sono chiesto quale degli articoli avrei potuto prendere come spunto e quale taglio dare al testo.
Ho scelto di lavorare sull’assenza. Ho voluto scrivere un articolo su un argomento noto, ma credo oggi di grande attualità; mi riferisco all’Articolo sul Diritto di Resistenza, che Giuseppe Dossetti, partigiano, cattolico, padre costituente, membro di spicco della Democrazia Cristiana, che si allontanò dalla politica, divenendo sacerdote nel 1959, propose all’Assemblea Costituente e che non fu approvato.
Nella proposta di Dossetti, l’Articolo sul Diritto di Resistenza avrebbe dovuto essere l’Articolo 3 dei Principi Fondamentali della Costituzione Italiana.
Molto amico di Teresa Mattei, visse una vita complessa e travagliata, caratterizzata da una grande passione politica, da una spiccata sensibilità umana e da una continua ricerca verso il perfezionamento del sistema democratico.
L’orrore della Seconda Guerra Mondiale e la drammatica esperienza del Nazifascismo lo indussero, su ispirazione dell’Articolo 21 della Costituzione francese del 1946, a formulare questo articolo:
La resistenza, individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti
dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino. È questo l’abituale
principio della resistenza, logico corollario dei due articoli precedenti.
Dossetti era presente insieme a Teresa Mattei a Marzabotto, poco dopo la fine della guerra, quando i cadaveri della strage furono disseppelliti dalle fosse comuni. A Marzabotto scelse di essere seppellito, quando nel 1996, a causa di un tumore morì.
Come dicevo prima, questo articolo manca nella nostra Costituzione, è un’assenza, di cui però vale la pena parlare e che ci consente di riflettere su alcuni temi come le forme di resistenza civile e culturale o le forme di critica organizzata che hanno visto molte soggettività esprimersi sulla tutela dei beni comuni, di quelli artistici e architettonici, fino a quelli paesaggistici.
Comitati, intellettuali, associazioni e cittadini hanno assunto implicitamente il diritto di resistenza come strumento di critica, analisi, confronto e proposta davanti a una manifestata assenza di interesse pubblico in alcune scelte dei governi o delle amministrazioni locali.
Non solo il Diritto di Resistenza rappresentava una forma di ulteriore tutela dei cittadini e della forma democratica dello stato, ma incarna nella sua essenza la sovranità popolare all’interno di un sistema democratico e repubblicano.
Riconoscere la legittimità di una forma di resistenza qualora i diritti fondamentali della Costituzione siano traditi o eliminati sancisce la responsabilità e l’autonomia dei cittadini e il loro diritto a svolgere un ruolo di critica e di contestazione costruttiva.
La sola obbedienza non salva l’anima delle persone e neppure i diritti acquisiti e previsti dalla Costituzione. Basti pensare al testo fondamentale di Hannah Arendt, La banalità del male, dove il solo fatto di aver obbedito a degli ordini non sollevò i militari tedeschi dalle loro responsabilità nel realizzare il piano di distruzione di massa hitleriano.
Oggi in Italia esistono delle esperienze di resistenza civile, penso ai comitati per l’acqua, che hanno saputo costruire un movimento trasversale e di base che è stato capace di rivendicare una piattaforma comune sull’acqua bene comune e pubblico. Difronte al rischio di una selvaggia privatizzazione dei sistemi idrici, i cittadini hanno saputo unirsi, resistendo ad un processo che sembrava ormai già segnato: il risultato è stata la nascita dei referendum che hanno dato ragione ai motivi della “resistenza” dimostrando l’importanza di rivendicare con azioni pratiche e concrete forme di resistenza ai dettami dei poteri, politici e di lobby di interesse.
Sarà che Dossetti era un cattolico e forse questo in modo decisivo ha influito sulla sua spiccata umanità, sarà per l’esperienza da partigiano o perché visse gli orrori del nazifascismo, ma indubbiamente la sua testimonianza ci lascia quantomeno un monito importante, che la Costituzione e i suoi Principi Fondamentali vanno sempre difesi poiché garantiscono diritti, dignità, sviluppo a tutti i cittadini.
A questo proposito mi viene in mente un’altra recente forma di resistenza civile e culturale di cui ci parla Tomaso Montanari nel suo ultimo libro, Le pietre e il popolo, edito da Minimum Fax, e che fa riferimento in modo sostanziale all’Articolo 9 della Costituzione Italiana: La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Il libro è un bell’esempio di cattive pratiche italiane, a vario titolo connesse con la cultura, i beni artistici e paesaggistici italiani, dove la cancrena, la disattenzione e la modalità clientelare parte da degenerazioni interne allo Stato che avalla o comunque tace su evidenti scempi o palesi ingiustizie.
Una per tutte la questione della Biblioteca Nazionale dei Girolamini di Napoli, vittima di un saccheggio sistematico di testi antichissimi da parte del suo direttore e complici alte cariche dello Stato con la silente “distrazione” dei due Ministri della Cultura, Galan e Ornaghi (per un approfondimento maggiore della questione cfr. Tomaso Montanari, Le pietre e il popolo, Ed. Minimum Fax, pag. 39; Salvatore Settis, repubblica.it, 23/05/2012 http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/05/23/la-biblioteca-sfregiata-il-ministro-ponzio-pilato.html).
Resistere ad uno scempio del genere, perpetrato nella noncuranza e nell’assenza di controllo da parte delle autorità preposte impone, per la salvaguardia di un patrimonio nazionale inestimabile, ma anche come esempio di buone pratiche, di resistere, di indignarsi e di procedere secondo i diritti che la Costituzione consente di attivare.
Il grande assente, il Diritto di Resistenza, di per se si presta a interpretazione e a strumentalizzazioni, inevitabilmente parlare del diritto di resistenza in questi giorni ci rimanda ai ricordi della primavera araba o più recentemente alle manifestazioni al Gezy Park di Istanbul. Il diritto di resistenza prevede o può prevedere la violenza?
La domanda è d’obbligo ma soprattutto le possibili risposte aprono scenari diversi. Ritengo che i contesti nei quali si sviluppano forme di dissidenza e critica, capaci di trasformarsi in atti di resistenza, determinino le modalità con cui la resistenza di sviluppa. Certo che se guardiamo alla Turchia, tutto nasce da una manifestazione pacifica di cittadini che volevano difendere uno spazio pubblico, un bene comune contro l’ennesima forma di speculazione edilizia. In questo caso dunque il rapporto e lo scontro si è creato tra la difesa di uno spazio pubblico e l’interesse privato del mercato. La repressione della polizia e del Governo di Erdogan e le evoluzioni successive in scontri rappresentano una conseguenza, evitabile, all’atteggiamento violento e intransigente del Presidente Turco.
La ridefinizione dei rapporti tra politica, governo e cittadini aiuterebbe a ricostruire intorno alle questioni importanti un discorso pubblico capace di rispondere ai bisogni e stimolare la partecipazione; altrimenti se tutte le decisioni e le questioni che riguardano i territori sono prese in forma privata o peggio ancora assecondando gli interessi di pochi, la frattura si allarga e le forme di distacco diventano sempre più profonde.
Forse se questo atteggiamento fosse stato tenuto anche per le questioni legate alla TAV in Val di Susa ci sarebbe stata la possibilità di costruire un percorso condiviso e certamente meno traumatico.
Chiudo rimandando ad un bel libro di Salvatore Settis, Azione popolare, ed. Einaudi, che ci aiuta a comprendere come le forme di “resistenza” passano attraverso modalità di condivisione e di partecipazione vera, ma soprattutto rappresentano il filtro di quei dodici Principi Fondamentali che i nostri padri costituenti vollero inserire come prima parte della nostra Costituzione.