Articolo che ci è stato inviato da Renato Gangemi.
“Forse dedicare un minimo di attenzione al risultato delle elezioni amministrative di Milano potrebbe essere più utile che continuare a stracciarsi le vesti per i pessimi risultati del centro sinistra di Roma e Torino. Nella capitale lombarda, come in gran parte della regione, il “voto contro” è stato percentualmente inferiore a tutto il resto del paese, ma il polverone mediatico che ha accompagnato i commenti su questa tornata elettorale, ha tenuto quasi sotto silenzio il misero 10% ottenuto dai pentastellati.
A Milano infatti i 5 Stelle hanno avuto uno dei loro peggiori risultati e questo nonostante il prematuro avvio della campagna elettorale, iniziata quando ancora non si sapevano neppure quali fossero i candidati degli altri partiti. Quale sia l’elemento che in un mix di fattori, ha contributo maggiormente a sminare la tentazione per il “voto contro”, non è facile capirlo. Sicuramente la vitalità della situazione economica e sociale della capitale “morale” d’Italia ha permesso lo sviluppo dei giusti anticorpi ed ha impedito che la deriva populista gonfiasse le vele dei 5 stelle e della Lega. Anche la scelta di candidati “nuovi”, con il giusto tasso di “antipolitica istituzionale” ha contributo a sbarrare il passo all’antipolitica “anti-istituzionale” grillina, riuscendo a spostare maggiormente l’attenzione verso i programmi e al progetto di città espressi dai candidati delle due coalizioni di centrodestra e centrosinistra.
Il “voto contro” della Brexit – e il caso del leader laburista Corbin – dimostra invece quanto una parte della popolazione del nostro continente – e della classe politica – non abbia ancora capito che l’Europa unita non è la globalizzazione, ma una delle risposte possibili. Il voto per la Brexit può essere il risultato di paure per “l’invasione di stranieri” ma anche di calcoli sbagliati ed immotivati, dato che i contributi dati da Londra alla UE erano un decimo dei benefici ottenuti grazie al mercato unico.
Se gli effetti del “voto contro” della Brexit sono ancora difficile da valutare, è ancora più difficile è prevedere gli effetti di un evento che non si è ancora verificato, come ad esempio la bocciatura del referendum costituzionale di ottobre. Forse il paragone è azzardato, me gli effetti e le ragioni alla base di questo particolare tipo di “voto contro”, motivato non tanto dai contenuti della riforma quanto dall’avversità contro il governo Renzi – potrebbero essere sovrapponibili a quelli della Brexit. Cosa potrebbe infatti rappresentare l’irriformabilità del sistema italiano di fronte agli investitori esteri è facile immaginarlo, specialmente ora che le riforme attuate avevano fatto ripartire una certa fiducia nel sistema paese, evidenziata dalla forte risalita (+ 20 posizioni nel rank Doing Business) nelle classifiche di affidabilità internazionale. Ma quali potrebbero essere le reazioni dei mercati monetari? Qualcuno si sta già ponendo delle domande. Gli instancabili bookmaker della comunità finanziaria hanno infatti già aperto le scommesse sul prossimo disastro: il Financial Times prevede che , dopo la Brexit , “l’Italia potrebbe essere il prossimo tassello di domino a cadere”. Appunto sul referendum di ottobre.
Ultimo capitolo sul “voto contro” riguarda la sconfitta di Podemos nelle recenti elezioni spagnole. Il fatto è eclatante per la dimensione e soprattutto per le previsioni dei sondaggi che davano questo movimento in forte ascesa. Podemos e Izquierda Unida, sotto il nome “Unidos Podemos”, perdono quasi un milione di elettori e anche il partito Ciudadanos – populisti di destra – si trova con 480.000 voti in meno. Il crollo è ancora più rumoroso se si tiene conto che già nelle grandi città spagnole, alle precedenti elezioni amministrative, partiti tradizionali – socialisti e conservatori – erano stati abbandonati per andare in favore di liste civiche e partiti populisti. Probabilmente, nella penisola iberica, cambiare per cambiare – senza una chiara e affidabile direzione politica e solo per andare contro qualcuno o qualcosa – non è ancora stato valutata come ragione sufficiente per affidare la guida di un paese a movimenti di protesta contro l’establishment. Movimenti che continuano ad essere considerati inadatti a governare il paese. Anche se l’economia fatica a ripartire e le difficoltà quotidiane della popolazione potrebbero spingere il voto contro i tradizionali partiti di governo.
Evidentemente “votare contro” non basta. Ed è questa, a mio parere, la lezione di Madrid.”