Libera scelta in libero Stato. Voglio partire da questa frase che può sembrare banale ma che non lo è. In questi giorni le pagine dei quotidiani e le bacheche dei social network sono inondate da dichiarazioni più o meno edificanti su due argomenti che mi stanno particolarmente a cuore: l’eutanasia e l’obiezione di coscienza. Ed ho trovato che il denominatore comune di questi due principi sociali è il diritto all’autodeterminazione.
Citando Wikipedia “Il diritto all’autodeterminazione è il riconoscimento della capacità di scelta autonoma ed indipendente dell’individuo.” Nasce nella lotta femminista come rivendicazione delle donne della scelta personale su temi come la sessualità, la riproduzione e il corpo. Nel tempo questa espressione si è allargata ai popoli e soprattutto alle minoranze come auto determinazione dei popoli nella gestione culturale e sociale dei sistemi di vita, diciamo così.
Il diritto all’autodeterminazione dell’individuo, dicevamo, mi serve per approfondire due temi fondanti della libertà dell’individuo che girano entrambi sugli assi della vita e della scelta: l’eutanasia e l’obiezione di coscienza. La storia di DJ FABO che ha scelto di morire e per farlo ha dovuto varcare i confini del nostro Stato perché in Italia non si muore per scelta, e l’episodio proprio dell’altro ieri, della professionista padovana che ha dovuto contattare ben 23 ospedali tra Padova (la sua città) Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige per poter interrompere una gravidanza.
La prima domanda che mi viene è: Perché? Perché, oggi, nell’anno 2017 questo paese che è stato la culla di invenzioni ed evoluzioni culturali, non riesce ad offrire ai propri cittadini una cosa banale come la libertà di scelta? Perché il diritto all’autodeterminazione non è fondante nei diritti civili di un Paese Moderno?
Le risposte che mi sono data sono due: la prima è che l’Italia non è un paese moderno ma è un’analfabeta funzionale in termini di diritti sociali e civili. Cioè, saprebbe anche leggere e scrivere ma non riesce a trarre spunti e stimoli dalle informazioni e dai messaggi che raccoglie. La ragazza si applica ma non ce la fa, per farla semplice. La seconda è la grande, enorme, silente influenza passivo aggressiva che la Chiesa ha nel nostro paese soprattutto quando si parla di vita e riproduzione. I testi sacri non ammettono il suicidio e l’eutanasia lo è, e l’aborto è un’offesa alla vita perché tu, madre non puoi non accettare un figlio, perché sei progettata per dare vita e se la vita viene, va data al prezzo di qualsiasi sacrificio.
Invece no, mi viene da dire. E qui voglio dividere i due fronti.
Sull’eutanasia manca proprio una struttura normativa e legislativa di possibilità che non viene offerta al cittadino. E in questo ci vedo proprio una violazione: uno stato laico e democratico non può permettersi di far passare come criminali i cittadini che per ragioni diverse (dalla malattia ai danni di un incidente come nel caso di DJ Fabo) decidono di mettere fine al loro dolore interrompendo volontariamente la loro vita. Non può permettersi di decidere in nome e per conto di tutti sul fatto che si debba vivere per forza in ogni condizione fino a quando il cuore batte. Uno stato deve essere il primo garantista del diritto all’autodeterminazione dell’individuo perché lo Stato è fatto di persone e tutti hanno il sacrosanto diritto di poter scegliere per la propria vita e per la propria morte. In questo modo non si sceglie per i cittadini ma si offre una possibilità di scelta che oggi manca creando una buco tra i bisogni e le possibilità anche se fossero l’espressione di una minoranza, anche se per offrire questa possibilità si debbano superare dei retaggi culturali cattolici che permeano la nostra cultura. Quindi, ecco, vorrei che nei programmi politici delle prossime elezioni questa voce comparisse e che si creasse almeno un dibattito, per ora inesistente e neanche all’orizzonte.
Sull’obiezione di coscienza e più in generale sull’aborto, un impianto legislativo esiste con la Legge 22 maggio 1978 n. 194 che regolamenta le norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Questa legge garantisce, almeno a livello teorico, l’interruzione volontaria di una gravidanza e cioè dà alle donne la possibilità di decidere se avere un figlio o no. Purtroppo fatta la legge, trovato l’inganno che in questo caso è rappresentato dall’obiezione di coscienza, previsto dalla stessa legge e che dà la possibilità ai medici obiettori di non applicare questo tipo di intervento quando va contro i loro principi morali o religiosi. Tutto molto interessante perché anche gli obiettori devono poter scegliere, se non fosse che all’interno delle strutture sanitarie ( e sempre la legge ce lo dice) il servizio deve essere garantito. In altre parole negli ospedali non ci devono essere solo obiettori di coscienza, altrimenti se ne contattano 22 e solo dopo l’intervento della CGIL si può interrompere la gravidanza e il nostro diritto è leso. Senza considerare il fatto che questo intervento deve avvenire entro i 3 mesi dal concepimento e non si può tirarla troppo per le lunghe.
In Italia nel 2017 non è così e i medici sono tutti moralisti a quanto pare. Ho letto in qualche articolo l’esortazione a cambiare lavoro o scegliere un’altra professione moralmente meno impattante e sono d’accordo, ma non voglio parlare di questo. Voglio parlare del fatto che il Ministero della Sanità deve, e sottolineo deve, adoperarsi per rimediare all’inganno della legge e assumere medici non obiettori: primo perché non si commette alcun crimine, secondo perché la legge lo prevede e terzo perché il diritto di autodeterminazione dell’individuo sia salvo ogni tanto.
E che il libero Stato sia fatto, una volta per tutte.