Uscendo dalla sala, ieri sera, si è scatenato un dibattito. La maggioranza degli amici con i quali ero andato a vedere Hammamet – chi appassionatissimo di politica, chi un po’ meno – propendeva per la pesantezza del film, accentuata dalla lentezza nella narrazione degli ultimi istanti di vita di un uomo. Se ci limitiamo ad un’analisi prettamente cinematografica, difficile dargli torto.
Hammamet, infatti, è un film lento. Scordatevi il ritmo dettato da Sorrentino ne’ Il Divo. Qui non c’è azione. Non si raccontano le gesta di Craxi nella crisi internazionale di Sigonella e nemmeno i suoi interventi politici più appassionati. Qui si racconta la storia di un leader stanco, alle prese con grossi problemi di salute – il diabete che fa quasi propendere i dottori per un’amputazione della gamba – e dei suoi problemi interni irrisolti.
Il Presidente, come lo chiamano tutti in Tunisia, dal dottore all’ultimo uomo di strada, è un uomo solo e tormentato. Accudito dalla figlia, Anita, appare contento quando qualcuno lo viene a trovare, salvo poi cercare egli stesso la solitudine, isolandosi anche dai suoi familiari. E’ tormentato dagli incubi, dal sentirsi l’unico colpevole di un’operazione orchestrata alle sue spalle. E’ cattivo, arrogante, autodistruttivo nei confronti di sé stesso, come quando consuma voracemente dolci tunisini e pasta asciutta che gli sarebbero vietati dalla figlia. Ma è anche buono, preoccupato per i più deboli, come lui stesso ammette. “Ma quando sei un politico devi preoccuparti di tutti”, dirà a Fausto, il figlio di un ex compagno di Partito che è lì in visita.
Ritmo a parte, la vera perla del film è l’interpretazione di Pierfrancesco Favino. Oltre al trucco prostetico che lo fa risultare veramente identico, l’attore romano ha studiato il personaggio, quasi all’eccesso: l’inclinazione della testa, il respiro, la cadenza, rendono davvero l’attore IL personaggio. Se si guardano filmati d’epoca, l’effetto simbiosi è sconvolgente. Questo è un punto a favore del film perché, se si è affascinati dai politici della Prima Repubblica, si rimane incollati allo schermo.
Ma, riprendendo le parole di un amico, è anche una grandissima occasione persa. Tra pochi giorni saranno 20 anni dalla morte di Craxi ad Hammamet e si poteva (e si doveva) utilizzare una così grande interpretazione del Craxi uomo per parlare del Craxi politico. In Italia, ancora oggi, non si è trovato il coraggio di aprire un dibattito sulla sua figura, uscendo dalla dicotomia odierna per cui Craxi è eroe dei sovranisti perché fronteggiò gli americani – o è il più grande ladro della storia italiana (come viene apostrofato nel film da un turista in visita ad Hammamet) perché unico condannato eccellente dell’inchiesta Mani Pulite. La sua figura di politico dovrebbe essere studiata e contestualizzata, tenendo presente quegli anni che vedevano la caduta del muro di Berlino e la lotta al terrorismo nero e alle stragi di mafia, dove le influenze esterne di una guerra fredda stavano per finire ma altri orizzonti più vasti e meno certi si aprivano.
Gianni Amelio (il regista, ndr), purtroppo, forse perché deciso a raccontare solo la parabola finale del grande leader non si impiccia minimamente di raccontare il personaggio ante-Hammamet.
Scelta legittima? Certo. Ma i più maliziosi potrebbero pensare che sia una scelta voluta. Se si parlasse del Craxi politico, infatti, si potrebbe (e forse, dovrebbe) aprire un dibattito anche su Mani Pulite, sui suicidi-omicidi, sul perché venne fatta tabula rasa dei due partiti di Governo dei 20 anni precedenti, DC e PSI, lasciando integro e intoccato il più grande partito di opposizione, il PCI.
Amelio, conscio dell’impossibilità di raccontare Craxi uomo senza raccontare il politico, mosso anche, forse, da un piccolissimo senso di colpa, ogni tanto dissemina briciole di dubbio durante la narrazione. Come, ad esempio, le parole che il protagonista del film registra in una videocassetta e che lo spettatore non ascolterà mai, altrimenti avrebbero sporcato l’Italia.
A vent’anni di distanza, si poteva fare IL film su Craxi, anziché un film su Craxi. Ma l’Italia non è pronta a guardarsi dentro. Non ancora.