A questo punto possiamo dirlo, i bambini sono i grandi dimenticati di questa pandemia. La scuola rimarrà chiusa fino a settembre e forse resterà attiva dove possibile la didattica a distanza. La previsione più probabile sarà quella di una didattica alternata tra gruppi in classe e gruppi collegati a distanza.
Come avrete capito sono mamma (separata per giunta) e lavoro nel settore digitale da diversi anni con la mia agenzia molto smart: per questo quando questa la modalità di lezione a distanza ci è stata presentata l’ho accolta con piacere. Dal 5 marzo mio figlio, che frequenta la seconda elementare di una scuola pubblica cittadina, come tutti ha interrotto l’attività scolastica. Bene, le scuole sono chiuse e quindi siamo rimasti a casa entrambi, lui con la didattica a distanza e io in modalità smart working (o lavoro agile come indicato nei decreti) per circa 10 ore al giorno.
Tutto molto bello nella teoria se non fosse che io lavoro nello studio di casa come se fossi in ufficio (la mia attività non si è interrotta fortunatamente) e lui deve svolgere le attività indicate dalle insegnanti. Qui entriamo nel vivo.
Abbiamo un registro elettronico con accesso da computer e da smartphone con una app.
I compiti sono inviati, almeno per noi, due volte a settimana e abbiamo due incontri settimanali di 40 minuti in video lezione che sono stati prolungati a circa un’ora e dieci nell’ultimo periodo.
Partiamo dalle applicazioni: il registro elettronico è collocato su un portale ad accesso riservato (con user e password) e come si nota entrando nella Piattaforma non è mai stato un servizio di punta dell’offerta formativa. Ad inizio anno, quando mi sono informata in segreteria, mi hanno riferito che non era attivo se non per la consultazione delle pagelle. Con la sospensione dell’attività didattica tradizionale, però, era l’unico strumento pronto all’uso per gestire la mole dei documenti e rendere ufficiale la comunicazione con possibile interscambio di compiti nella dinamica alunno – docente.
Dopo un paio di settimane siamo stati avvisati dell’attivazione del servizio di didattica a distanza vero e proprio con tanto di piattaforma, mai sentita (e credete che io faccio call a distanza da tempi immemori) ,Teams di Microsoft che di user friendly oltre al pacchetto Office non ha nulla.
Quindi dopo una procedura lunga e articolata (per i meno esperti la confusione regnava sovrana e alcuni della nostra classe non erano riusciti neanche a sbloccare app e registro elettronico non è chiaro per quali motivi) abbiamo attivato questa nuova modalità. Tenete presente che stiamo ancora parlando di bambini di 7/8 anni che, nonostante siano nativi digitali, hanno molta confidenza con gli smartphone e poca con il computer oltre che una smisurata necessità di attenzioni e contatto sia con le maestre sia tra di loro.
Le prime lezioni sono state una tragedia con microfoni fruscianti, interruzioni continue e appelli infiniti: piano piano le cose stano migliorando ma è una faticaccia, credetemi.
Adesso però vorrei condividere con voi, genitori e non, una serie di domande e riflessioni che mi frullano nella testa da due mesi a questa parte.
Perché non eravamo pronti alla didattica a distanza?
La risposta è meno scontata di quanto sembri. La prima cosa che salta agli occhi è la mancata informatizzazione della scuola e dei docenti. In poco tempo gli istituti scolastici si sono dovuti attrezzare con piattaforme di video lezione fronteggiando una situazione mai vissuta prima senza però avere le competenze necessarie per prendere decisioni sensate. Per una scuola elementare, ad esempio, scegliere una piattaforma che permette solo la visualizzazione di 4 immagini a video rispetto a classi di almeno 20 bambini è un’assurdità. Il contatto visivo è una priorità per bambini così piccoli e fa parte di quel contatto necessario per seguire in modo più tranquillo la lezione sentendosi vicini alle maestre e ai compagni. Le interruzioni del tipo “Maestra non ti vedo” sono state il mantra dei primi giorni e probabilmente potevamo evitarle scegliendo un’applicazione con una visualizzazione multipla, e ce ne sono.
Le insegnanti, alle quali va il mio appoggio e una serie infinita di ringraziamenti, cercano in ogni modo di far progredire il lavoro della classe con contenuti multimediali che, loro malgrado, non riescono ad ottimizzare. Video pesanti, condivisioni di cloud, materiale da stampare: la giungla si infittisce, i gruppi di whatsapp si infiammano e la digitalizzazione piange. Questi docenti armati di tanta buona volontà hanno poca capacità digitale, non conoscono i processi, le applicazioni e i formati dei file. Si caricano, molto spesso di una mole di lavoro inutile che genera contenuti poco condivisibili e fruibili. Non è colpa loro, il problema è alla base: nessuno ha mai pensato di proporre loro un corso di informatica obbligatorio e nella loro formazione i processi digitali non esistono (se non accendere il pc e collegare la LIM che poi non è digitale per nulla).
La didattica a distanza è per tutti?
In teoria sì ma nella pratica no. L’opportunità viene offerta a tutti ma non tutti i bambini possono accedere per una serie di ragioni. In questo senso mi verrebbe da dire che alimenta la discriminazione e aumenta il gap tra classi sociali. Senza computer, dispositivi mobili adeguati o stampante si fa poco o niente. Gli istituti hanno messo a disposizione dei tablet in comodato d’uso gratuito e questa è un’iniziativa lodevole, ma in molte famiglie non si ha nemmeno la capacità di capire le cose da fare (a volte è difficile far scaricare una app) e l’assistenza data dalla scuola è minima o si trovano soluzioni del tipo “ recuperi la lezione dal gruppo Whatsapp” che non mi sembra che possa essere un’indicazione adeguata.
Le soluzioni potrebbero essere tante: creare uno sportello virtuale di assistenza, nominare un tutor per classe o magari dotare gli istituti di un consulente digitale di plesso che si renda disponibile per il supporto alle famiglie, soprattutto quelle con maggiori difficoltà. Portare avanti un programma di classe senza che tutti i bambini partecipino significa alimentare la disuguaglianza e discriminare chi non ha gli strumenti e le competenze necessarie per garantire l’istruzione dei propri figli.
Cosa ci aspetta per il futuro?
Gli scenari scolastici (nonché mondali) sono sconosciuti o poco prevedibili: l’unica cosa che sappiamo è che la Ministra dell’Istruzione ha paventato la possibilità di una didattica mista a partire da Settembre 2020. Una sorta di rotazione tra bambini in classe e bambini collegati da casa. Se questa modalità si realizzasse le sfide sarebbero tante e le domande senza risposta anche di più: chi si occuperà dei bambini che devono seguire da casa se i genitori lavorano e i nonni magari non sono in grado di gestire processi di fruizione digitale? Chi fornirà gli strumenti (computer, rete internet ecc) alle famiglie che al momento non li possiedono? Come sarà giudicato l’alunno che oggi si sente dire bravo qualsiasi cosa faccia? Come saranno gestiti i bambini con esigenze specifiche?
Non so immaginare le risposte ma di una cosa sono certa: la digitalizzazione della scuola può essere democratica solo a patto che strumenti e competenze siano consolidati e acquisiti da tutti, scuola compresa. Senza questa premessa non si va da nessuna parte e le lacune, per i nostri bambini, sono dietro l’angolo.
Da genitore mantengo alta la fiducia e cerco sempre di far coincidere anche quei pezzetti di puzzle che non si incastrano, ma l’attenzione a questo tema deve essere data. Meglio prima che poi.