Il Next Generation eu è messo a rischio dalla guerra e, in Italia, anche dalla burocrazia: criticità e proposte per vederne la fine.
Il Next Generation eu, ovvero lo strumento da 800 miliardi finanziato con emissione di titoli dall’Europa per rispondere alla crisi pandemica, è oggi messo a rischio dal quadro geopolitico internazionale e, nel nostro Paese, cui spettano 209 miliardi, anche dalla burocrazia.
È per questo auspicabile che la politica rifletta e ponga in essere alcuni correttivi al complesso quadro normativo che guiderà nella spesa delle risorse, pena la mancata realizzazione degli investimenti e un’occasione persa di quelle che non si ripeteranno più.
Le regole del gioco sono relativamente semplici, in linea di principio, e prevedono opere realizzate entro il 2026 e divise in sei missioni, ossia linee di intervento:
- digitalizzazione, innovazione, competitività, cultura e turismo
- rivoluzione verde e transizione ecologica
- infrastrutture per una mobilità sostenibile
- istruzione e ricerca
- inclusione e coesione
- salute
L’Italia risponde presentando alla Commissione Europea il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), stilato anche con una concertazione necessariamente contingentata con gli enti locali e i principali stakeholder nazionali, aziende, anci, ecc.
Fin qui tutto bene, no?
Ma dove sta l’inghippo in un Paese che è tanto brillante nelle intuizioni quanto elefantiaco nella pratica? Nelle Soprintendenze e nei tempi della giustizia amministrativa, che hanno la facoltà, loro malgrado, di rallentare e bloccare progetti e opere.
Se a questo si aggiunge il fatto che le materie prime iniziano a scarseggiare e costare di più, così come l’energia, e le aziende sono subissate di lavoro (anche grazie al bonus 110%), ecco che la scadenza del 2026 sembra allontanarsi non di poco.
Ai primi due problemi stanno già arrivando alcune risposte quali, ad esempio, la proposta di legge regionale toscana 92/2022 che esonera le opere finanziate dal PNRR dalla procedura di VAS (Valutazione Ambientale Strategica) ma non da VIA (Valutazione Impatto Ambientale). Ciò potrebbe ridurre i tempi delle procedure ma, al tempo stesso, prestare il fianco ai ricorsi e, ça va sans dire, ai millemila comitati che già sono insorti costringendo a una piccola retromarcia la maggioranza regionale.
L’impennata inflazionistica e la parallela diminuzione dell’offerta, ossia delle aziende qualificate all’esecuzione delle opere e dei materiali, invece, sembra ad oggi non trovare spazio nelle riflessioni della politica.
Qualche settimana fa il ministro Cingolani, intervenendo su “Italia domani: dialoghi sul piano nazionale di ripresa e resilienza”, dichiarava che «il pnrr non ci metterà al riparo da tutto», riferendosi al costo dell’energia.
Non ci metterà al riparo da tutto soprattutto se non saremo in grado di realizzarlo. Oggi, agli sgoccioli dei bandi rivolti a privati e alle Pubbliche Amministrazioni, è quantomai auspicabile che le risorse residue di ciascuna missione, anziché andare a finanziare nuovi bandi, vengano destinate a rimpinguare i budget di quegli interventi già coperti dal PNRR, raggiungendo così un duplice obiettivo: evitare che i costi aggiuntivi ricadano sulle spalle dei soggetti attuatori, siano essi pubblici o privati, e soprattutto dare una chance in più agli investimenti di essere effettivamente realizzati.
Meglio meno interventi ma concreti e con reali possibilità di vedere la luce che una bella e teorica lista di occasioni perse.