Forse non tutti sanno che negli istituti penitenziari ci sono vere e proprie aule con cattedre e lavagne. Si tratta dei poli scolastici dedicati all’istruzione e alla formazione dei detenuti, e sono ambienti unici al mondo.
“La scuola è aperta a tutti”, così sancisce l’art. 34 della Costituzione Italiana.
L’istruzione è un diritto quindi, e lo è anche negli istituti penitenziari.
Non solo, la nostra Costituzione stabilisce anche che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato” (art. 27).
In questo, l’istruzione e la formazione costituiscono due pilastri fondamentali nel percorso di trattamento di un detenuto.
I condannati hanno la possibilità di iscriversi a percorsi formativi di vario tipo: scuola e alfabetizzazione, corsi professionalizzanti, lettura e scrittura, cucina, arte, teatro. Ci sono anche detenuti iscritti all’università, grazie a protocolli d’intesa tra le amministrazioni penitenziarie e le diverse sedi universitarie del territorio.
L’esistenza di questi percorsi formativi negli ambienti carcerari è ormai ben nota, ma molte persone ancora non ne conoscono il concreto funzionamento, la reale forma fisica degli spazi ad essi dedicati.
Soffermiamoci sulla scuola, per esempio. In carcere, i percorsi di istruzione seguono il calendario e il funzionamento di quelli per gli adulti, più comunemente chiamate “scuole serali”.
I detenuti interessati ad acquisire la licenza media sono regolarmente iscritti presso i CPIA (Centri Provinciali di Insegnamento per Adulti), mentre per ottenere il diploma di maturità possono iscriversi agli istituti scolastici superiori della città che presentano una sezione carceraria.
Le lezioni si svolgono la mattina o nel primo pomeriggio, poiché dalle ore 18.00 circa inizia la distribuzione della cena.
I detenuti studiano prevalentemente sui materiali forniti dai docenti – libri e dispense – e le verifiche vengono programmate sia in forma scritta che orale.
A seconda delle materie, gli insegnanti possono assegnare delle ricerche o delle relazioni da svolgere in autonomia o in coppia. Ciò è possibile poiché i detenuti che seguono un percorso di studio (scolastico o universitario) sono autorizzati all’uso di un personal computer, ma senza collegamento ad Internet; hanno quindi la possibilità di accedere, per esempio, ad enciclopedie offline.
Ma che forma ha la scuola in carcere?
Cemento, cancelli, controlli. Linee dure separano gli ambienti.
È questa la quotidianità dei docenti che ogni giorno insegnano nelle strutture penitenziarie italiane e di tutte quelle persone che, per lavoro o volontariato, organizzano corsi di formazione rivolti ai detenuti.
I docenti che possono insegnare nella scuola del carcere sono gli stessi che lavorano in quelle diurne o serali, purché nella domanda abbiano spuntato la voce “sezione carceraria”.
Varcano due o tre cancelli prima di raggiungere il polo scolastico penitenziario, con tanto di controlli e consegna dei cellulari all’ingresso.
Attraversano cortili desolati in cemento, il grigio regna sovrano.
In qualche angolo spiccano aiuole colorate curate dagli stessi detenuti, aiuole che forse fuori dal carcere non avrebbero neanche notato. Ma lì sì, danno allo spazio un tocco di normalità, di amara allegria.
Percorrono ampi corridoi in cui regna il silenzio, interrotto solo dal rumore metallico dei cancelli e da qualche comunicazione veloce delle guardie.
In questi spazi cominciano a fare i conti con i tempi lenti dell’ambiente detentivo e possono attendere anche qualche minuto prima che un cancello automatico si apra e gli permetta di passare. Sembra un momento infinitamente lungo.
Arrivano finalmente alla sezione scolastica, uno spazio dedicato alla formazione.
Un angolo di pace nel cuore dell’architettura della pena.
Ci sono aule strette dove i muri comprimono un po’, cattedre e lavagne, nella migliore delle ipotesi LIM. Le sedie e i banchi sono piccoli, o almeno così sembrano quando sono utilizzati da adulti, per di più se uomini.
In una piccola stanza c’è la biblioteca, con scaffali pieni di libri dalle copertine consumate e scolorite.
Anche qui porte metalliche.
Sebbene la sezione scolastica di un carcere non sia apparentemente un luogo caldo e invitante, in poco tempo ci si rende conto di quanto questo ambiente sia in realtà molto accogliente.
Costituisce uno spazio di tregua, dove si interrompe per qualche ora la banalità del male e dei giorni, del tempo che scorre lento e vuoto.
Si tratta di un luogo in cui si imparano nozioni e mestieri, ma soprattutto in cui, attraverso il rapporto con i docenti e i compagni di classe, si impara a stare insieme, si recupera il senso di umanità.
La scuola in carcere costituisce una finestra sul mondo, un modo per avere un contatto con ciò che accade fuori dalle mura, la normalità: si argomenta una notizia del telegiornale, si parla delle abitudini delle persone (per fare un esempio banale, qualcuno è dentro da troppi anni e non si è mai scattato un selfie).
Il polo scolastico del carcere è un luogo in cui si impara a seguire le regole, in cui ci si responsabilizza.
È un luogo di messa alla prova, di nuovi punti di vista, di riscatto.
Alcuni scoprono di avere competenze e abilità di cui non erano a conoscenza e tra i banchi di scuola hanno la possibilità di svilupparle.
La scuola in carcere è possibilità. Possibilità di scegliere che tipo di persona vuoi essere.
Fonte foto: www.ilcorriere.it