Dietro il successo del Marocco a Qatar 2022 non c’è solo la voglia di affermarsi di una Nazione, ma di un intero continente, che oggi conta 1,4 miliardi di abitanti e che raddoppierrano entro il 2060. L’Africa è molto di più rispetto a quanto ci viene raccontato dai nostri media e sarebbe bene cambiare presto anche il modo in cui ne parliamo.
Sarebbe stato bello scrivere dopo un risultato diverso, ma, forse, sarebbe stato fin troppo facile.
Il sogno del Marocco a questo mondiale è appena terminato, infrangendosi contro la corazzata Francia. Niente Prise de la Bastille. Non questa volta.
Ma il calcio è “il miglior modo di discutere di cose importantissime, fingendo di parlare di sciocchezze.” Quindi…
Nelle ultime settimane, ci siamo resi conto che qualcosa di nuovo bolle in pentola. I vecchi blasoni, soprattutto europei, brillano sempre meno: vedi la rapida dipartita della Germania, del Belgio, della Spagna e del Brasile – senza considerare la mancata partecipazione della nostra Nazionale.
Un capitolo a parte merita l’organizzatore del Mondiale: tra luci e ombre. Amnesty International aveva già iniziato ad occuparsi del mondiale nel 2016 , e il Guardian aveva denunciato circa 6500 morti tra gli operai che hanno costruito gli Stadi. E i diritti dei lavoratori – che l’hanno scampata – non sono stati certo il punto forte, checchè ne dica l’ex vicepresidente Kaili.
Resta il fatto, però, che il Qatar sta uscendo alla grande dalla prova mondiale, almeno fino ad ora. Stadi all’avanguardia, organizzazione impeccabile, donazione di strutture ai Paesi in Via di Sviluppo. E, dulcis in fundo, nessun incidente tra le tifoserie. Forse, dovremmo ripensare a come gestiamo la sicurezza dei nostri eventi, a partire da alcuni piccoli e, apparentemente, insignificanti dettagli.
Vi ricordate la polemica per le birre introvabili? Personalmente l’ho trovata inappropriata. Paese che vai, usanza che trovi. Da questa esperienza, forse, possiamo desumerne che un consumo più cauto di alcool negli stadi favorisca maggiori condizioni di sicurezza? Durante le partite di Champions League alcune limitazioni esistono già.
Ma torniamo al Marocco, beniamino indiscusso del pubblico, non solo arabo e africano. Si narra che il Re Mohammed VI abbia investito dal 2008 svariati milioni di dirham in un’accademia del calcio che non ha nulla da invidiare alle nostre. Inoltre, pare che il regnante abbia incontrato periodicamente e personalmente i giocatori marocchini per convincerli a giocare per la nazionale magrebina, dato che 14 di loro sono nati in Europa.
Al netto di questi aneddoti, anche curiosi, la realtà è seria e più complessa. Chiunque abbia avuto negli ultimi anni la possibilità di viaggiare in Africa, si è reso conto che – oltre al tifo sfegatato per il calcio che agita tutti gli africani – l’impressione che abbiamo del continente, fatta per lo più dai media nostrani, non è rappresentativa della realtà. Non che le situazioni di criticità non esistano: la carestia attuale in Somalia, la guerra mondiale africana che dura da 20 anni in Repubblica Democratica del Congo o l’ennesimo colpo di Stato in Burkina Faso – solo per citarne alcune – ci ricordano che i vecchi mali sono difficili da sconfiggere. Ma quello che percepiamo, come l’annosa “emergenza” immigrazione, è minimo rispetto alla vera realtà.
L’Africa, per fortuna, è tanto altro.
Dovunque si vada, le città pullulano di opere pubbliche: strade, ponti, ferrovie. Spesso costruite da imprese cinesi, ahimè, con tutto quello che ciò comporta. Se si passa a distanza di un anno nella stessa città, si rischia di non riconoscere alcune zone, tanti sono i cambiamenti in atto.
In Kenya si sta costruendo una città all’avanguardia: Konza. Una smart city che ospiterà oltre 200.000 residenti che avranno a disposizione residence e social housing, uffici, scuole e un sistema di trasporti green efficiente. La città sarà all’avanguardia per il risparmio energetico e adotterà soluzioni architettoniche sostenibili e tecnologie avanzate. Il Ruanda viene chiamato “la Svizzera d’Africa”. Ho avuto la fortuna di visitare pochi mesi fa Kigali, la capitale, e vi assicuro che il soprannome è quasi riduttivo, soprattutto se si pensa a quello che il piccolo Paese ha passato appena 28 anni fa. Ma questi sono solo due dei tanti esempi possibili.
Negli ultimi anni, altri miti sono stati sfatati. Tra questi, la gestione del Covid ha dimostrato che l’esperienza accumulata in epidemie assai più gravi, vedi l’Ebola ad esempio, ha fatto sì che il continente uscisse praticamente indenne da una pandemia che ha devastato il Nord del mondo. Il Senegal è stato giudicato il secondo Paese al mondo per capacità di fronteggiare l’epidemia. Qualcuno dirà: il virus Sars-Cov non è circolato lì. Secondo uno studio dell’OMS, in realtà, si stima che il 65% degli africani avessero contratto il virus già nel 2021. Quello che posso dirvi è che ho visto, di persona, molta più prevenzione in Kenya che nella vicina Francia. Rimangono comunque alcuni dubbi. Quello che è certo, invece, è che il Covid, in Africa, ha impattato pesantemente sull’economia.
L’Africa è un continente in continua espansione, che attualmente conta 1,4 miliardi di abitanti. Nel 2050 gli africani saranno quasi il doppio, 2,5 miliardi. Nel 2100, 4 miliardi. La Nigeria da sola conterà 930 milioni di abitanti. La metà degli abitanti del continente africano ha meno di 20 anni. In Cina questo valore è di 38 anni. In Europa, 42. Il futuro “parla” sicuramente africano. Altro stereotipo che dovremmo toglierci, questo, dato che in Africa si stimano tra le 1000 e le 2000 lingue (500 nella sola Nigeria).
Non c’è da stupirsi, quindi, se nemmeno tanto poi metaforicamente il Marocco è arrivato meritatamente tra i grandi del pianeta. È la punta di un iceberg. Meglio, l’alba di un nuovo giorno.
Il ct del Marocco, nella conferenza stampa pre-partita ha dichiarato: “L’Africa non deve più accontentarsi, vogliamo vincere”. Viste queste premesse, come dargli torto.