E’ solo, John Updike. Non ha colleghi a cui assomigli. Scrive semplice, liscio, e perlopiù capolavori. Certo nella bibliografia completa di quello che ha scritto una o due cose gli saranno venute peggio – ma è difficile non dire che siamo ai vertici della letteratura contemporanea di lingua inglese. Altra caratteristica, scrive di tutto: romanzi, poesie, racconti, (è stato anche un giornalista per molti anni – si trovano tutti gli articoli, per chi legge in inglese). Per cui adesso fate il conto che con questo nome si può andare in libreria o in biblioteca a colpo sicuro, e magari andate, visto che agosto non è ancora finito e non è il caso di sprecare un narratore abbastanza appassionante da reggere ombrelloni, traghetti e il sole negli occhi.
Qui ci occupiamo di un dilemma che riguarda il consumo-lettura di un libro che ha scritto nel 1984. In quell’anno, nel pieno di un decennio come quello, lui, specialista di critica corrosiva alla borghesia americana vivente, decide di sorvolare sul realismo e inventa una storia fantastica, in cui tre streghe sconvolgono la vita della comunità di un paesino di provincia. Il nome che sceglie per il paesino è Eastwick. Quanti hanno più di vent’anni probabilmente a questo punto rizzeranno le orecchie, perchè dal libro di cui parliamo, Le streghe di Eastwick, Guanda, 2008, è stata tratta una commedia con lo stesso nome, che in molti avranno visto, in cui recitavano un fioretto di mostri: Jack Nicholson, Susan Sarandon, Michelle Pfeiffer, Cher.
Bene, già qui si apre il dilemma: come tornare a un libro dopo aver visto un film tratto da quel libro? E’ il dilemma di Fight Club sceneggiato dal libro di Palahniuk, di Espiazione che viene da McEwan, del sofisticatissimo La Pianista dall’omonimo libro della Jelinek, è anche il dilemma di Il signore degli anelli del prode John Ronald Reuel Tolkien. Dilemma a cui si può dire che nella maggior parte dei casi la risposta più sensata sia non tornare al libro. Non leggere una storia di cui si è già vista una traduzione cinematografica, per evitare il sapore amaro della fantasia spuntata del povero lettore non ignaro di cosa sta per succedere e di chi lo fa. Ma qualche volta è diverso. Capita che la sceneggiatura copi poco e inventi molto, e così il libro e il film riescano a restare due cose perfettamente uniche e diverse. Con Le streghe di Eastwick è andata così. Potete aprire il libro sicuri che sarà sconvolgente: nessun Jack Nicholson vi si affaccerà a doppiare le battute del film, e invece sentirete la voce dello scrittore, che vi porta veloce e cattivissimo dentro una fiaba nera ed esilarante. Capita che ci siano frasi da sottolineare (ma con Updike capita spesso): piccola deliziosa perla che per esempio il film non riesce a catturare è la storia della ‘vita’ del paesino, che nel libro è una specie di creatura vivente, che ospita le streghe – e il diavolo, e gli altri abitanti come formiche che gli camminassero sulla pancia. E si, sono molto diverse anche le ‘cose’ che succedono.. per cui anche questo, come il romanzo di cui si parlava la scorsa settimana, è decisamente un romanzo erotico; inoltre i personaggi del film sono stati aggiustati sia per numero che per ruoli, e leggendo, lo scenario di provocazione che tre streghe fanno alla società americana bigotta e cattolica, è qualcosa di completamente ‘nuovo’. E’ un peccato dire qui perchè.
Il dilemma riguarda anche il fatto che esiste un sequel del romanzo, che Updike ha pubblicato nel 2008, e che si chiama Le vedove di Eastwick. Ma si risolve facilmente: non ha senso leggere il secondo senza prima aver avuto a che fare con le squisitezze del primo. Caldamente consigliato cominciare con Le streghe di Eastwick.